· Città del Vaticano ·

Pellegrinaggi giubilari a Roma
Dalla diocesi di Vigevano

Con l’entusiasmo
dei primi cristiani

 Con l’entusiasmo dei primi cristiani  QUO-073
31 marzo 2025

di Lorena Leonardi

«Abbiamo portato a casa non solo un ricordo, ma soprattutto una fede rinnovata, con l’entusiasmo dei primi cristiani»: così il vescovo Maurizio Gervasoni commenta con i media vaticani il significato del pellegrinaggio giubilare a Roma compiuto nei giorni scorsi dalla diocesi di Vigevano.

È stata, aggiunge il presule, un’esperienza «davvero positiva» con i «partecipanti molto motivati, sempre con un pensiero e una preghiera rivolti a Papa Francesco» in quei giorni ancora ricoverato al Policlinico Gemelli. «Aver varcato la Porta Santa delle basiliche papali di San Paolo fuori le Mura e di San Pietro ci ha fatto sentire consapevoli di appartenere alla Chiesa universale fin dalle sue radici: questo penso sia il senso del pellegrinaggio», conclude il vescovo della diocesi lombarda.

Partiti dalla città ducale, i circa 50 pellegrini hanno fatto tappa a Orvieto — il cui duomo è custode del miracolo eucaristico di Bolsena — prima di giungere nell’Urbe. Qui, al termine di tre giorni di cammino spirituale, monsignor Gervasoni ha celebrato la messa all’altare della cattedra nella basilica Vaticana. «È stata un’occasione di grazia, carità e perdono — riflette Giuseppe Marchini, imprenditore residente a Sannazzaro de’ Burgondi, nella provincia pavese —. Questa esperienza ha alimentato in noi non solo la coscienza comunitaria dell’amore di Dio, che accoglie e trasforma tutto il cammino della libertà umana», ma anche «il nostro essere dono, lievito e speranza».

Quello appena vissuto è il quarto Anno giubilare per l’uomo, dopo quello della Redenzione nel 1983, il grande Giubileo del 2000 e quello straordinario della misericordia nel 2015. E se in città, tra monumenti, momenti di raccoglimento e di amicizia comunitaria, «il tempo è volato» — confida Giuseppe, che è nonno di sei nipotini e con la moglie Enrica condivide sin dalla gioventù l’impegno in parrocchia — il ritorno alla quotidianità è stato «arricchito dalla gioia di aver vissuto un’autentica condivisione di luoghi ed emozioni». Ora, conclude, «con animo sereno ci prepariamo alla Pasqua, con l’auspicio che la speranza sia come un campo arato in cui abbiamo gettato i semi: aspettiamo fiduciosi che il grano diventi pane».

Sul concetto di speranza non aveva mai posto particolare attenzione, prima di approfondirlo in occasione del percorso giubilare, Adriana Minola, pensionata: «Mi ha colpito che la speranza venga dal Signore e sia strettamente legata alla misericordia e al perdono sempre disponibile verso tutti», spiega l’ex insegnante di Vigevano che dal 2018 abita in provincia di Trento. È rimasta impressionata dall’esperienza giubilare rivelatasi «molto formativa e coinvolgente», un’occasione di «ripensamento della propria vita», aggiunge la donna, che è molto attiva al centro di ascolto della locale Caritas e come catechista: «Il messaggio più importante che mi accompagnerà e che condividerò con i miei ragazzi è la doppia gioia del perdono, da parte del Signore che accoglie i suoi figli e per chi chiede la riconciliazione e vede Dio non come un giudice, ma come un vero padre».

Si sente «trasportata» da un «fiume di grazia» Luisa Zini, mamma di tre figli, in pellegrinaggio insieme al marito per ritrovare «nuove energie interiori» e «allargare il mio piccolo orizzonte sentendomi coinvolta nel respiro universale della Chiesa» in una «nuova percezione di noi stessi come peccatori perdonati e redenti, provocati ad amare secondo la misura stessa del cuore di Cristo». Per la donna, che fa parte del Consiglio pastorale ed è membro dell’équipe sinodale, il momento più emozionante è stato la visita alle tombe dei papi nella basilica Vaticana: «Ho percepito come sulla solidità di fede dell’Apostolo si sia radicato il flusso della storia e della tradizione cristiana che ci ha donato testimoni preziosi della carità, capaci di modellare il volto e la sensibilità della Chiesa di oggi».

Così, se il passaggio della Porta Santa richiama «una soglia da attraversare per essere più pienamente noi stessi», la prospettiva della speranza garantisce «la forza di ricominciare dopo ogni caduta»: ed «è bello — conclude — condividere questo cammino comunitario basato sulla certezza del perdono di Dio».

Le fa eco Salvatore Poleo, 65enne, lettore in parrocchia e membro di Azione Cattolica: «Solo la speranza ci salva dalla paura», anche in presenza di «guerre e cambiamenti» che sembrano «gettare ombre sulle nostre vite». Tutto cambia, prosegue, se davvero crediamo che «le porte degli inferi non prevarranno», rispondendo alla chiamata di uscire, «anche sul piano spirituale, dalle nostre comode routine» per «testimoniare davanti a mondo la nostra fede». L’uomo ricorda come cruciale il momento dell’eucaristia del secondo giorno di pellegrinaggio all’abbazia delle Tre Fontane, dove san Paolo subì il martirio, «un potente memento di come tanti cristiani, in tempi lontani e ancora oggi, siano testimoni della fede fino alla morte senza paura né tentennamenti».

Salvatore riflette sul fatto che un tempo i pellegrini affrontavano un viaggio che poteva durare mesi se non anni, un cammino pericoloso, rispetto al quale chi ha «a disposizione strade e mezzi comodi» non ha scuse per non partire: «Dio ha mandato suo figlio a farsi carne e sangue, a sporcarsi le mani con noi e i nostri peccati. Gesù non è rimasto nel suo cielo, ma si è chinato a toccare la terra.

Il Giubileo — conclude — è una straordinaria occasione per non lasciarlo solo, chiuso nei tabernacoli: possiamo stringere la mano che ci porge».