
di Annapaola
Petrone Albanese
C’è una intensità di analisi così profonda tra l'autrice, Anna Paola Lacatena, e il protagonista del suo romanzo («Santiago. Storia di un uomo che fece di un muro un passaggio», Affiori, Roma, 2025), che la storia di quest’uomo, cresciuto in un ambiente ostile e contrario a un animo in formazione, appare come se fosse fresca di cronaca e non soltanto una narrazione.
Santiago è un uomo nato nel 1982 che fa i conti con il suo passato vissuto a Taranto. Li fa attraverso un ritmo mentale che colpisce per il linguaggio spregiudicato, ma intimo di sentimenti farciti di pensieri non pronti ai colpi della vita. L’atmosfera di un quartiere abbandonato ad una industria invadente, poco sostenuto da interventi per la cura delle nuove generazioni, è per Santiago l’unico ambiente di vita possibile. E anche l’amico caro sarà per lui ragione di errori da pagare a caro prezzo.
Autrice di saggi di confermato spessore scientifico, Anna Paola Lacatena segue l’esistenza di questo suo protagonista facendone la voce di una situazione ambientale complessa. Santiago si fa uomo attraverso esperienze di cui la sua esistenza disorientata non comprende il peso e conserva in sé una reattività sociale profonda senza analizzarne le ragioni. Il dolore lo colpisce presto e, intorno a lui, il vuoto e la confusione morale si concretizzeranno nel carcere dove pure, nella durezza dell’esperienza, ci sarà un incontro salvifico: tra i colpevoli in cella interverrà per caso un uomo che offrirà a Santiago strade nuove e gli suggerirà quanto sia necessario guardare dentro sé stessi per salvarsi.
La storia di Santiago è simile a tante altre di cui abbiamo notizia, ma di cui non conosciamo la sofferenza. Ciò accade con un coinvolgente dentro-fuori del dialogo di Santiago con sé stesso, che associa all’esistenza vissuta la voce del suo animo ed evidenzia anche il significato degli ambienti descritti nella loro concreta forza istituzionale. Sono luoghi in cui i colpevoli appaiono relitti lasciati a sé stessi più che delinquenti incalliti e le sfumature dei toni della descrizione restituiscono a ciascuno il proprio livello di esperienza: i pochi metri di una cella rappresenteranno per Santiago un insperato spiraglio di luce.
Mi aveva colpito, sul retro di copertina, una frase dura: «Fammi provare dolore così per un po’ non sentirò quello che da troppo tempo mi porto dentro». Ci sono tornata più volte durante la lettura, perché raramente un romanzo rimane profondamente sincero come questo, attraversando il clima di tempi convulsi quali i nostri in cui, davvero, l’intensità del dolore diventa una abituale misura esistenziale.