· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Non c’è una unica narrazione di dolore

Scrittrici senza gabbie

 Scrittrici senza gabbie  DCM-004
05 aprile 2025

Le scrittrici stanno bene, scrive Sara De Simone: è il titolo di un monologo con cui la saggista e critica letteraria si ribella all’avvilente stereotipo dell’artista-musa eternamente depressa, isterica, vittima, marginale. Stereotipo amatissimo dagli uomini, perché in modo molto rassicurante conferma che l’arte appartiene a loro, loro sì che sanno creare e distruggere senza distruggersi, addirittura facendosi carico delle derelitte che incontrano sulla loro strada, mai all’altezza del genio maschile, sia chiaro, piuttosto portatrici di un talento che sarebbero, in quest’ottica, bravissime a consumare da sé (non: un talento che il patriarcato è abilissimo a reprimere, ghettizzare, ridicolizzare e dimenticare, no: perché la colpa è sempre delle donne, che non sono mai abbastanza niente, eccedono solo in fragilità). Invece le scrittrici stanno bene, afferma Sara De Simone, con solidità da studiosa e traduttrice, portando a esempio proprio quelle donne sulla cui instabilità e malattia si sono consolidati i più eclatanti equivoci e i più incancreniti cliché, da Virginia Woolf a Katherine Mansfield.

È un monologo molto bello e vi consiglio quando possibile di recuperarlo, in giro per festival letterari o realtà culturali delle vostre città, ed è anche una buona sintesi per qualche riflessione sui legami tra genio femminile e follia, magari per sottrarli all’unica narrazione dell’autodistruttività e restituire alle donne la possibilità di essere (state) pazze, forse, ma anche vitali, ironiche, spietate. Per far sì che la malattia mentale non divori tutto quello che c’è dentro una vita, ricordare che una biografia è sempre la somma di ciò che pensiamo di aver afferrato e di ciò che ci sfugge e che dentro ogni esistenza si nasconde sempre un dettaglio dinamitardo, che spezza il filo rosso con cui ci illudevamo di averla riassunta. Non c’è la pazzia, ci sono le pazzie: saggezza divina per Emily Dickinson, superamento dei limiti convenzionali per Alda Merini, fischio di una sirena negli auricolari per Anne Sexton, e si potrebbe andare avanti per righe e righe, senza cadere nella tentazione di romanticizzare ma ricordando che ogni poetica è espressione di uno sguardo sul mondo, di una difformità che precede e invade lo scrivere. Il suicidio è il contrario della poesia, scrive sempre Sexton, quando ricorda che con l’amica Sylvia Plath parlavano della possibilità di darsi la morte «tra una patatina fritta e un’altra», attratte dal tema «come le zanzare dalla luce elettrica». In queste righe di rimpianto – Plath non c’è già più – c’è un’ironia di ghiaccio e amara, ma c’è anche la lucidità di un esorcismo, la consapevolezza di camminare sul bordo, vestita di bianco, come Emily Dickinson, o di nero, come un’Ecate novecentesca. «Voglio affondare con la bandiera spiegata», scrive Virginia Woolf. La poeta argentina Alejandra Pizarnik ha spesso paragonato sé stessa a un uccello: notturno, forte, pronto a spiccare il volo. In apparenza direzioni opposte, ma non siamo tutte e tutti noi attratti alternatamente dall’abisso e dalle altezze? La questione resta: riusciamo a leggere una vita senza schiacciarla dentro un’unica narrazione? A non rileggere ogni dettaglio esistenziale alla luce di un suicidio, accettando che anche chi ha voluto morire sia stato, per un istante o molto più, autenticamente felice? Le scrittrici stanno bene. Anche prima, o dopo, essere state molto male.

di Nadia Terranova


LaPoesia

Solitudine


Ora è la Solitudine, 
e non il Sonno,\
che viene la notte a sedersi vicino al mio letto.\
Distesa come una bimba stanca attendo il suo passo,\
e la guardo spegnere la luce con un soffio lieve.\
Salendo immobile, non si volge né a destra\
né a sinistra, ma stanca, stanca abbassa il capo.\
Anche lei è vecchia, anche lei ha combattuto tanto\
da meritare la corona d’alloro.\

Nella triste oscurità lenta rifluisce la marea\
e s’infrange sull’arido lido, inappagata.\
Soffia un vento insolito: poi il silenzio. Sono pronta\
ad abbracciare la Solitudine, a prenderle la mano,\
ad aggrapparmi a lei, aspettando che l’arida terra\
si imbeva della terribile monotonia della pioggia.\

Katherine Mansfield

«Quando ero uccello e altre poesie»,
a cura di Federico Mazzocchi (Passigli, 2009). 


Nadia Terranova (nella foto di Francesca Tilio) è una scrittrice italiana tradotta nel mondo in diverse lingue. Nata a Messina, laureata in Filosofia, vive e lavora a Roma da molti anni. Scrive libri per adulti e per ragazzi. Il suo primo libro
Gli anni al contrario (Einaudi 2015) è stato annoverato tra i dieci romanzi italiani più belli usciti nel decennio che va dal 2009 al 2019. Successivamente ha scritto Addio fantasmi (Einaudi 2018), la raccolta di racconti Come una storia d’amore (Giulio Perrone Editore, 2020), Trema la notte (Einaudi, 2022). Il suo ultimo romanzo è Quello che so di te (Guanda, 2025).