· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

La jurodivaya russa e le testimonianze di oggi

La fatica sacra delle stolte

 La fatica sacra delle stolte  DCM-004
05 aprile 2025

Era una bella giornata d’estate nella residenza estiva di Tsarskoe Selo quando Caterina ii di Russia e la sua corte furono turbate da un tragico evento. La giovane freilina Evdokija sparì misteriosamente. Gli abiti vennero ritrovati sul greto del lago, ma nessuna traccia della ragazza nonostante le affannose ricerche. Se della principessa Evdokia Vjazimetseva, dama di compagnia amatissima dalla zarina, non si seppe più nulla, molto si parlò invece di una bizzarra donna che comparì poco dopo. Diceva di chiamarsi Eufrosina, vestiva un rozzo camice di tela bigia insufficiente a ripararla dal freddo, portava scompiglio nei mercati gridando e agitando un bastone e predicava di tornare alla preghiera e al Vangelo. Eufrosina viveva nella sporcizia, parlava con gli animali, aveva gran compassione delle sofferenze altrui e mortificava il corpo con la penitenza. La si prese per pazza, fu derisa e ingiuriata, ma quando iniziò a divinare il futuro, a guarire gli ammalati e a vedere nella profondità delle anime, fu subito chiaro a tutti che la donna, tutt’altro che pazza, era in realtà una jurodivaja.

È questo il termine con cui in Russia si indicano quegli asceti che scelsero la via della «stoltezza per amore di Cristo»: uomini e donne capaci di condurre una vita di penitenza e mortificazione in nome del Vangelo. Giravano per strada coperti di sporcizia e stracci o addirittura nudi, scheletrici, vaticinanti sciagure o fortune con lo sguardo spiritato. La regola degli stolti, poco praticata in Occidente, trovò gran numero di seguaci in Russia a partire dal xii secolo fino ai giorni nostri. Il popolo russo, che viveva per lo più in condizioni di povertà estrema, fu sempre particolarmente devoto a questi personaggi privi di tutto e capaci di testimoniare il grande riscatto della fede.

Gli esperti sottolineano che la stoltezza non è da confondersi con la pazzia. Se con la pazzia può essere difficile stabilire un dialogo, con gli stolti ci si può capire. La loro totale rinuncia li fa liberi, capaci di risvegliare le coscienze e smascherare convenzioni e compromessi. Lo stolto sovverte gli ordini, da scandalo, ma all’occorrenza sa fare marcia indietro e ragionare come persona assennata.

Un posto speciale nelle agiografie e nel cuore degli ortodossi occupano le stolte. Esse crebbero di numero all’inizio del Settecento, sotto il regno di Pietro il Grande, che nel tentativo di rimodernare lo stato, perseguitò violentemente gli jurodivye di sesso maschile, ma non fu altrettanto duro con le donne, la cui stranezza veniva percepita come meno perniciosa. Pressoché salve dalla carneficina che decimò gli stolti, le stolte continuarono quasi indisturbate sulla via della grande fatica in nome di Cristo, ognuna a modo suo ma con molti elementi comuni.

In questa scelta non è difficile individuare una spinta all’emancipazione dal giogo della famiglia e delle convenzioni, spesso a seguito di drammatiche storie di violenza domestica. E’ quanto accadde a Marfa da Suzdal, che divenne stolta per fuggire dai fratelli maggiori che l’avevano ridotta in stato di schiavitù intollerabile. O nel caso di Elena da Arzamas, la cui vocazione alla vita religiosa dovette scontrarsi con l’insensibilità dei genitori che la volevano sposa a forza. Nel giorno delle nozze, Elena non esitò a saltare dalla finestra, svestirsi dell’abito nuziale e rotolarsi in una pozza di fango lasciando a bocca aperta i familiari e lo sposo, che ovviamente non ne volle più sapere.

La via della stoltezza in genere viene scelta dopo un pellegrinaggio per i maggiori santuari, che la stolta percorre rigorosamente a piedi e facendo penitenza. Non è raro che sia un padre spirituale a proporre la via di fuga: «Fatti stolta per amore di Dio, figlia mia. Copri il senno con la pazzia».

Ma alla base della via della stoltezza c’è senz’altro molto altro. Non sarebbe infatti possibile affrontare altrimenti il duro giogo che tali “faticatrici” si impongono. Come dubitare della profonda fede di Maria da Belgorod, a cui piaceva alzare il gomito, ma che decise di espiare i propri peccati perseguendo la stolta fatica di scavare una grotta. Durò per anni a scalfire la roccia con le mani insanguinate, spesso perseguitata dalla polizia finché lo zar Alessandro i non acconsentì a finanziare la costruzione di una chiesa all’interno della caverna in cui la stolta aveva faticato per venticinque lunghi anni. Oppure come non compatire Matrionuška Bosonožka che se ne andò da Pietroburgo alle Isole Solovki e poi fino a Gerusalemme a piedi nudi, senza badare se fosse estate inverno, vestita solo di una palandrana bianca. La sua formidabile protezione riuscì a salvare i devoti persino dall’arresto da parte della milizia sovietica.

Anche nel periodo rivoluzionario la grande fede delle stolte ebbe un’ascendente enorme: la loro chiaroveggenza intimoriva, confondeva e disarmava al punto che il potere sovietico non raramente preferì ignorarle. Come fece con la cieca Matrona da Mosca che viveva circondata dalle icone e che predisse un grave incidente al miliziano venuto ad arrestarla: l’uomo corse a casa e riuscì a salvare la moglie in fin di vita. Decisero di rilasciarla e Matrona divenne un riferimento importantissimo per i fedeli durante la persecuzione comunista.

Ma è la scelta paradossale della fatica che la stolta affronta vivendo di privazioni e fuori dalle regole a toccare i cuori, a testimoniare libertà e riscatto, a lasciare intravedere una nuova dimensione del futuro.

Viene da chiedersi se oggi ci sia posto per la fatica della stoltezza. Una visione, un credo che si fa gesto trasgressivo, folle presenza nel bailamme dei social e della comunicazione può ancora cambiare le cose?

Seduta a gambe incrociate davanti al parlamento svedese, una ragazzina da scandalo per mesi. «Per il cambiamento climatico», dice. Grida contro i potenti, viene seguita dai piccoli, agita le piazze, predice sciagure. Molti la prendono per folle. Ma fatto sta che il mondo si è fermato ad ascoltarla.

di Eleonora Mancini
Laureata in lingua e letteratura russa in Italia, specializzata in traduzione all’Università Statale di Mosca (MGU)