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Celebrando Nicea,
tra memoria e speranza
Cosa resta di quella Chiesa?

 Celebrando Nicea, tra memoria e speranza   Cosa resta di quella Chiesa?  DCM-004
05 aprile 2025

Forse abbiamo in mente la frase di don Abbondio – Carneade, chi era costui?! – estesa a indicare ricordi vaghi e fumosi. Chissà se è lo stesso anche per Nicea. Non tanto l’antica cittadina – oggi Iznit, in Turchia – che certo non è tanto importante, quanto la cifra dell’evento che vi si svolse 1700 anni fa: il “Primo Concilio ecumenico”. All’epoca l’espressione voleva indicare “tutta la terra abitata”, ma dal momento che è riconosciuto dalle diverse confessioni cristiane, oggi lo possiamo dire “ecumenico” anche da questo punto di vista. Anche per questo probabilmente l’anniversario è uscito dagli scaffali degli storici e sta interessando ambienti ecclesiali molto diversi: citato per il Sinodo sulla sinodalità, oggetto di eventi ecumenici come l’incontro di Fede e Costituzione che si svolgerà in Egitto (a Wadi el Natrum) in ottobre 2025, ricordato nella Bolla di indizione del Giubileo cattolico, ma anche studiato dal Segretariato Attività Ecumeniche (SAE).

L’evento del 325 tuttavia non fu privo di problemi: sul tappeto almeno tre questioni rilevanti – come parlare di Dio, se è possibile uniformare la data della Pasqua, come discutere e disciplinare vari aspetti della vita ecclesiale. Certo si svolse all’inizio della svolta nei rapporti con l’impero e con una forte pressione di Costantino: nessuno vorrebbe mai le persecuzioni, ovvio, ma siamo sicuri di amare gli Imperatori, a maggior ragione se si professano cristiani mentre esercitano, oggi come allora, un potere sconfinato e prevaricante? Il Sinodo (significato analogo del termine) decise poi alcune cose in fretta, ma quello che si aprì fu un periodo turbolento, stretto fra esili, violenze e anatemi: siamo disposti a pagare questo prezzo per una professione di fede comune? Alcune immagini (non dell’epoca, ovvio, ma posteriori) che lo celebrano, poi, mostrano una Chiesa rappresentata da mitre e porpore, che dall’Impero passano a una compagine tutta episcopale, un mondo maschile e gerarchico. Insomma…

Allora, ci poniamo delle domande: celebrarne l’anniversario può essere anche un momento di pentimento e di conversione? Può ricordare non solo elementi luminosi, ma anche le loro molte ombre? Può spingerci a cercare una comunione ospitale, che pur cercando di trovare parole comuni rifugga dalle condanne e dagli anatemi? Credo che sia non solo auspicabile ma anche possibile, se abbandoniamo l’apologia di regime per raccogliere storie plurali, dissensi e anche consensi, non imposti, ma condivisi. In questa direzione e a queste condizioni, in fondo, Nicea è anche un segno di speranza: cercare insieme di balbettare nel “nome di un Altro o un’Altra” che per brevità chiamiamo Dio, plurale aperta ospitale “trinità”, è spazio benedicente, può essere tempo pacificante.

di Cristina Simonelli
Teologa, docente di Storia della chiesa antica, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano