
Domenica 23
La pazienza |
In questo lungo tempo di ricovero, ho avuto modo di sperimentare la pazienza del Signore, che vedo anche riflessa nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati. Questa pazienza fiduciosa, ancorata all’amore di Dio che non viene meno, è davvero necessaria alla nostra vita, soprattutto per affrontare le situazioni più difficili e dolorose. |
Il dolore per le bombe a Gaza |
Mi ha addolorato la ripresa di pesanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, con tanti morti e feriti. Chiedo che tacciano subito le armi; e si abbia il coraggio di riprendere il dialogo, perché siano liberati tutti gli ostaggi e si arrivi a un cessate il fuoco definitivo. |
Nella Striscia la situazione umanitaria è di nuovo gravissima ed esige l’impegno urgente delle parti belligeranti e della comunità internazionale.
Sono lieto invece che l’Armenia e l’Azerbaigian abbiano concordato il testo definitivo dell’Accordo di pace.
Auspico che esso sia firmato quanto prima e possa così contribuire a stabilire una pace duratura nel Caucaso meridionale.
Con tanta pazienza e perseveranza state continuando a pregare per me: vi ringrazio tanto! Anch’io prego per voi.
La Vergine Maria ci custodisca e continui ad accompagnarci nel cammino verso la Pasqua.
(Angelus diffuso per la terza domenica di Quaresima)
Martedì 25
Fondamento per edificare |
Vi mando alcune indicazioni per il vostro prezioso servizio. Esso, infatti, è come “ossigeno” per le Chiese locali e le comunità religiose, perché dove c’è un bambino o una persona vulnerabile al sicuro, lì si serve e si onora Cristo. |
Nella trama quotidiana del vostro operato — soprattutto negli ambiti più disagiati —, si concretizza una verità profetica: la prevenzione degli abusi non è una coperta da stendere sulle emergenze, ma una delle fondamenta su cui edificare comunità fedeli al Vangelo.
Il vostro lavoro non si riduce a protocolli da applicare, ma promuove presidi di protezione: una formazione che educa, dei controlli che prevengono, un ascolto che restituisce dignità. Quando impiantate pratiche di prevenzione, persino nelle comunità più remote, state scrivendo una promessa: che ogni bambino, ogni persona vulnerabile, troverà nella comunità ecclesiale un ambiente sicuro.
Questo è il motore di quella che dovrebbe essere per noi una conversione integrale.
Come sentinelle in un mondo dormiente |
Chiedo tre impegni: 1. Crescere nel lavoro comune con i Dicasteri della Curia romana. |
2. Offrire alle vittime e ai sopravvissuti ospitalità e cura per le ferite dell’anima, nello stile del buon samaritano. Ascoltare con l’orecchio del cuore, così che ogni testimonianza trovi non registri da compilare, ma viscere di misericordia da cui rinascere.
3. Costruire alleanze con realtà extra-ecclesiali — autorità civili, esperti, associazioni —, perché la tutela diventi linguaggio universale.
In questi dieci anni avete fatto crescere nella Chiesa una rete di sicurezza. Andate avanti!
Continuate a essere sentinelle che vegliano mentre il mondo dorme. Che lo Spirito Santo, maestro della memoria viva, ci preservi dalla tentazione di archiviare il dolore invece di sanarlo.
(Messaggio alla plenaria della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori )
Mercoledì 26
Il peso |
Dopo aver meditato sull’incontro di Gesù con Nicodemo, oggi riflettiamo su quei momenti in cui sembra proprio che Lui ci stesse aspettando proprio lì, in quell’incrocio della nostra vita. |
Sono incontri che ci sorprendono, e all’inizio forse siamo anche un po’ diffidenti: cerchiamo di essere prudenti e capire cosa sta succedendo.
Questa probabilmente è stata anche l’esperienza della donna samaritana, di cui si parla nel capitolo quarto del Vangelo di Giovanni.
Lei non si aspettava di trovare un uomo al pozzo a mezzogiorno, anzi sperava di non trovare proprio nessuno.
In effetti, va a prendere l’acqua al pozzo in un’ora insolita, quando è molto caldo.
Forse questa donna si vergogna della sua vita, forse si è sentita giudicata, condannata, non compresa, e per questo si è isolata, ha rotto i rapporti con tutti.
Per andare in Galilea dalla Giudea, Gesù avrebbe potuto scegliere un’altra strada e non attraversare la Samaria.
Sarebbe stato anche più sicuro, visti i rapporti tesi tra giudei e samaritani. Lui invece vuole passare lì e si ferma a quel pozzo a quell’ora!
Gesù ci attende e si fa trovare proprio quando pensiamo che per noi non ci sia più speranza.
Il pozzo, nel Medio Oriente antico, è un luogo di incontro, dove a volte si combinano matrimoni, è un luogo di fidanzamento.
Risposta vera |
Gesù vuole aiutare questa donna a capire dove cercare la risposta vera al suo desiderio di essere amata. |
Il tema del desiderio è fondamentale per capire questo incontro.
Gesù è il primo a esprimere il suo desiderio: «Dammi da bere!».
Pur di aprire un dialogo, Gesù si fa vedere debole, mette l’altra persona a suo agio, fa in modo che non si spaventi.
La sete è spesso, anche nella Bibbia, l’immagine del desiderio.
Ma Gesù qui ha sete prima di tutto della salvezza di quella donna. «Colui che chiedeva da bere — dice sant’Agostino — aveva sete della fede di questa donna».
Se Nicodemo era andato da Gesù di notte, qui Gesù incontra la donna samaritana a mezzogiorno, il momento in cui c’è più luce.
Una storia |
È un momento di rivelazione. Gesù si fa conoscere da lei come il Messia e inoltre fa luce sulla sua vita. |
La aiuta a rileggere in modo nuovo la sua storia, che è complicata e dolorosa: ha avuto cinque mariti e adesso sta con un sesto che non è marito.
Il numero sei non è casuale, ma indica di solito imperfezione.
Forse è un’allusione al settimo sposo, quello che finalmente potrà saziare il desiderio di questa donna di essere amata veramente.
E quello sposo può essere solo Gesù.
Quando si accorge che Gesù conosce la sua vita, la donna sposta il discorso sulla questione religiosa che divideva giudei e samaritani.
Il tocco di Dio nella nostra vita |
Questo capita a volte anche a noi mentre preghiamo: nel momento in cui Dio sta toccando la nostra vita coi suoi problemi, ci perdiamo a volte in riflessioni che ci danno l’illusione di una preghiera riuscita. |
In realtà, abbiamo alzato delle barriere di protezione.
Il Signore però è sempre più grande, e a quella donna samaritana, alla quale secondo gli schemi culturali non avrebbe dovuto neppure rivolgere la parola, regala la rivelazione più alta: le parla del Padre, che va adorato in spirito e verità.
E quando lei, ancora una volta sorpresa, osserva che su queste cose è meglio aspettare il Messia, Lui le dice: «Sono io, che parlo con te».
È come una dichiarazione d’amore: Colui che aspetti sono io; Colui che può rispondere finalmente al tuo desiderio di essere amata.
A quel punto la donna corre a chiamare la gente del villaggio, perché è proprio dall’esperienza di sentirsi amati che scaturisce la missione.
E quale annuncio potrà mai aver portato se non la sua esperienza di essere capita, accolta, perdonata?
È un’immagine che dovrebbe farci riflettere sulla nostra ricerca di nuovi modi per evangelizzare.
Proprio come una persona innamorata, la samaritana dimentica la sua anfora ai piedi di Gesù.
Il peso di quell’anfora sulla sua testa, ogni volta che tornava a casa, le ricordava la sua condizione, la sua vita travagliata.
La nostra storia deposta |
Ma adesso l’anfora è deposta ai piedi di Gesù. Il passato non è più un peso; lei è riconciliata. |
Ed è così anche per noi: per andare ad annunciare il Vangelo, abbiamo bisogno prima di deporre il peso della nostra storia ai piedi del Signore, consegnare a Lui il peso del nostro passato.
Solo persone riconciliate possono portare il Vangelo.
Non perdiamo la speranza! Anche se la nostra storia ci appare pesante, complicata, forse addirittura rovinata, abbiamo sempre la possibilità di consegnarla a Dio e di ricominciare il nostro cammino.
Dio è misericordia e ci attende sempre!
(Catechesi preparata
per l’udienza generale)