Pellegrinaggi giubilari a Roma
Essere segni di speranza

La gioia per le dimissioni del Papa dall’ospedale
di Isabella Piro
Una notizia che «ci riempie di gioia»: così il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ha commentato le dimissioni, avvenute ieri 23 marzo, di Papa Francesco dal Policlinico Gemelli di Roma, dopo 38 giorni di ricovero per curare una polmonite bilaterale. «Durante questa lunga degenza — ha scritto il porporato in una nota —, ci ha mostrato “la benedizione” che si nasconde dentro la fragilità, perché proprio in questi momenti impariamo ancora di più a confidare nel Signore (Angelus, 2 marzo). Dalla cattedra dell’ospedale, ci ha ricordato quanto è necessario “il miracolo della tenerezza”, che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore” (Angelus, 9 marzo)».
Infine, il porporato ha esortato i fedeli a continuare a sostenere il vescovo di Roma con la preghiera, «così come è accaduto nei dodici anni di pontificato».
L’invito a pregare per Papa Francesco e a guardare al suo servizio che «ricorda a tutti noi di essere servi» nei confronti del prossimo, il cardinale Zuppi lo aveva rivolto in particolare, il 22 marzo, ai circa duemila fedeli di Bologna giunti a Roma in pellegrinaggio giubilare. Nel pomeriggio dello scorso sabato, il porporato ha guidato la processione dei pellegrini bolognesi lungo via della Conciliazione fino alla basilica Vaticana. Quindi, dopo aver attraversato la Porta Santa, all’altare della Confessione il cardinale Zuppi ha presieduto la messa, concelebrata, fra gli altri, dai vicari generali dell’arcidiocesi, i monsignori Stefano Ottani e Giovanni Silvagni, e da alcuni sacerdoti diocesani.
Nell’omelia, il cardinale Zuppi ha sottolineato l’importanza, per i cristiani, di essere «il riflesso dell’amore di Dio» e diventare «segni di speranza», soprattutto in un mondo che «si divide e si chiude», in cui i confini sono diventati «trincee e non cerniere»; in un mondo che «esclude il povero», non accetta lo straniero e ritiene «normale» il fatto che «i nostri fratelli muoiono in mezzo al mare»; in un mondo attraversato da semi di odio, ingiustizia e ignoranza, «che non ripudia la guerra e che pensa di preparare la pace armandosi, invece di investire nelle realtà capaci di risolvere pacificamente e con il diritto i conflitti»; in un mondo che «scarta la vita e la rende insignificante perché non amata». In un mondo così, ha aggiunto il porporato, è quanto mai necessario sentire «la grazia» di essere del Signore per accendere la speranza, perché «la speranza, a differenza del fatalismo, affronta il male».
In fondo, il senso del pellegrinaggio e del Giubileo, ha aggiunto l’arcivescovo di Bologna, è proprio questo: convertirsi per «prendere sul serio la misericordia», per «essere pieni di speranza» e rianimarla anche nel prossimo, rendendola «contagiosa per quanti la desiderano». Perché «non è da ingenui voler cambiare il mondo, ma da figli della speranza».
«Abbiamo camminato insieme — ha concluso l’arcivescovo di Bologna — per ritrovarci. La Chiesa è questo: è legame di comunione che ci accompagna anche quando siamo lontani, e che si ritrova attorno a Gesù. Ringraziamo di questo luogo che ci riporta alle origini dell’avventura cristiana, ci aiuta a capire con Pietro chi è il più grande, e a seguire Gesù che ci dà l’esempio, perché anche noi saremo beati se laveremo i piedi gli uni gli altri».
Partiti da Bologna nelle prime ore del mattino, prima di giungere a San Pietro i pellegrini si sono radunati nella chiesa romana di San Giovanni Battista dei Fiorentini per un momento di catechesi. «L’esperienza del pellegrinaggio — ha detto il porporato — ravviva in noi il concetto di indulgenza, che non significa chiudere un occhio o “Fai come ti pare!”, ma ci ricorda il nostro coinvolgimento in una storia d’amore». Citando quindi don Primo Mazzolari, il “parroco di Bozzolo”, il presidente della Cei ha ribadito: «La speranza è un contadino che, nel freddo e nella nebbia di ottobre, vede le messi di giugno», esortando quindi a far prevalere questa virtù teologale e ad andare «controcorrente» là dove «sembra prevalere l’immobilismo, l’egoismo e il calcolo».
A prendere la parola è stato anche don Andrea Lonardo, originario del capoluogo emiliano-romagnolo, e attualmente docente all’Istituto di scienze religiose “Ecclesia Mater” di Roma, nonché direttore del Servizio per la cultura e l’università della diocesi di Roma, il quale ha ricordato che «attraverso il pellegrinaggio, la carità e la preghiera, il cristiano trova la forza di combattere contro il male». «Il Giubileo — ha concluso — è un’intuizione antica, ma essenziale anche per l’oggi, perché ci ricorda che il cristianesimo non è un mito: a Roma veramente Pietro è stato ucciso. Dunque non si può non avere una relazione con la Città eterna e con il suo vescovo».
Infine, c’è stato lo spazio per un momento di animazione e gioco dedicato ai numerosi bambini presenti.