Pellegrinaggi giubilari a Roma
Testimoni di Gesù

di Massimo Pavanello
Testimoniare che «l’incompiuto si compie in Gesù, desiderio di pace e di giustizia, dove il popolo trova unità e una nuova alleanza»: questo il mandato affidato dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ai circa tremila fedeli ambrosiani che, dal 14 al 16 marzo, si sono recati a Roma in pellegrinaggio giubilare. Ad accompagnarli oltre cento sacerdoti, con i vescovi ausiliari, i vicari, i diaconi e i seminaristi. Ieri mattina si è svolto il suggestivo passaggio della Porta Santa della basilica Vaticana, seguito dalla messa all’altare della Confessione. A presiedere la celebrazione, in rito romano, è stato il cardinale arciprete Mauro Gambetti, con la concelebrazione del clero ambrosiano, di molti altri sacerdoti e la partecipazione di tanti fedeli.
A pronunciare l’omelia è stato monsignor Delpini il quale, soffermandosi sul Vangelo domenicale di Luca (9, 28b-36), ha riflettuto sulle figure di Abramo, Mosè ed Elia, definendole «testimoni dell’essenziale per portare a compimento il Giubileo». In particolare Elia, ha aggiunto, che è il profeta che «contesta la prepotenza», rappresenta «il fuoco che arde nel cuore di tutti coloro che sospirano la pace e la giustizia». Infine, l’arcivescovo ha esortato i fedeli a chiedere la grazia di tornare alla vita ordinaria «rasserenati e alleggeriti» per dire che «abbiamo incontrato Gesù».
Già il 14 marzo monsignor Delpini aveva ricordato che «per uscire dalla tristezza c’è un solo modo, passare attraverso la porta che è Gesù: la vera gioia nasce dall’amicizia con lui. Ma per questo occorre che sia aperta anche la porta del nostro cuore». Le sue parole erano riecheggiate durante la Liturgia penitenziale celebrata nella basilica dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso, con cui si sono aperte le giornate romane dei pellegrini ambrosiani. Nella circostanza nella chiesa è stata esposta la reliquia del cuore di san Carlo Borromeo.
«Evento di Chiesa, tempo di Grazia, cammino di Speranza»: queste tre coordinate hanno fatto da filo conduttore all’intera iniziativa. «Noi celebriamo il Giubileo proprio perché la memoria malata possa guarire e ci si possa finalmente sentire liberi e leggeri, per chiedere il perdono e vivere con saggezza», ha affermato monsignor Delpini presiedendo la messa nella basilica di San Paolo fuori le Mura sabato pomeriggio 15 marzo. Tuttavia, ha aggiunto il presule, «la memoria guarita, non è la decisione di “mettere una pietra sopra” per dimenticare il male compiuto o subìto, piuttosto è la disponibilità all’opera di Dio che libera e salva», anche perché «il passato è una miniera dove sono custoditi i tesori».
Sul tema della saggezza, l’arcivescovo ha elencato all’omelia tre suggerimenti. Quello di Mosè: «Ricordati della vedova, dell’orfano e dello straniero»; quello che viene dal Vangelo: «Non trasformare la devozione, in un formalismo presuntuoso»; e quello di Paolo: «Sia che moriamo, sia che viviamo, siamo del Signore».
Prima della messa, all’interno delle navate laterali della basilica ostiense, si era creata la coda davanti alle sedie dove i sacerdoti hanno confessato i fedeli. Monsignor Raimondi, vicario episcopale dell’arcidiocesi, ha confidato che «è stato bellissimo ascoltare tante fragilità, tanta sofferenza, così come tanta riconoscenza per il cammino di fede compiuto tutti insieme», aggiungendo che «la speranza sia proprio questo evento di grazia, un amore gratuito».
Don Carlo Zago, parroco della comunità pastorale Madonna dell’Aiuto di Gorgonzola, ha confidato che «vivere il Giubileo per noi significa fare memoria di un amore che ci ha salvato, perché la speranza, più che essere un futuro, è la memoria di un amore che ci ha amato fino alla fine e che fino alla fine ci amerà». Il sacerdote, ricordando il valore dell’attraversamento della Porta Santa — «non è un rito magico, è un segno, il segno che l’unica porta è Gesù» — ha sottolineato che il primo passo è quello di «recuperare la fiducia nel Signore che non ci abbandona nelle difficoltà; è questo che dà gioia, che dà speranza».
Il messaggio dell’arcivescovo Delpini è stato raccolto anche da Paolo Angrisani, fedele della parrocchia di Cernusco sul Naviglio, che dice con entusiasmo: «sono venuto a Roma perché attingere una grazia vissuta in condivisione, nei confronti del Signore, acquista più forza. Sono convinto che la vicinanza al proprio vescovo e al Papa, per chi crede, è vicinanza a Gesù che fortifica la comunità».
C’è chi torna a Milano con conferme e chi con interrogativi. È il caso di Vladimir Resetnikov, giovane lituano, residente nel capoluogo lombardo dove lavora e studia. «In questi giorni il Signore mi ha posto una domanda: come prendere sul serio la mia vita?». Non tutto è chiaro, confida, ma «direi che mi sta chiamando alla conversione nel quotidiano. Mi pare di percepire l’inizio di un nuovo episodio della mia vita».