Pellegrinaggi giubilari a Roma
Sulle orme di donne

di Lorena Leonardi
In sei chiese sulle orme di altrettante grandi donne sante. Si è snodato così per le vie di Roma, nella non casuale giornata dell’8 marzo scorso, il pellegrinaggio giubilare dei giovani con le “Donne dottori della Chiesa” e “Patrone di Europa”, tracciando la linea di un itinerario che da Trinità dei Monti è arrivato a Santa Cecilia in Trastevere, per celebrare sapienza, spiritualità, intelligenza come caratteri del “genio femminile” capace di lasciare il segno nella storia del vecchio continente.
Ogni tappa è stata un’occasione per dare voce a «donne notevoli per la santità di vita», spiega Fermina Álvarez, docente alla Pontificia Università Lateranense. Tra i promotori dell’iniziativa, la professoressa sottolinea il ruolo fondamentale delle sante Teresa di Gesù Bambino, Teresa di Gesù (d’Avila), Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena, tutte dottori della Chiesa, e il contributo di quest’ultima come patrona d’Europa, insieme alle sante compatrone Brigida di Svezia e Teresa Benedetta della Croce.
Il pellegrinaggio ha avuto inizio nella chiesa di Trinità dei Monti, dove si è fatta memoria di Teresina di Lisieux, la giovane monaca carmelitana patrona delle missioni. I circa cento partecipanti si sono poi mossi a piedi verso Santa Maria della Vittoria, dove è stata ricordata un’altra Teresa: la grande mistica di Avila, riformatrice del Carmelo. Quindi si sono diretti verso la basilica di Sant’Agostino, per commemorare la terza santa con lo stesso nome: Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea divenuta monaca carmelitana, vittima della Shoah.
Ancora, nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva è stata celebrata la domenicana Caterina da Siena, mentre una meditazione sulla mistica svedese Brigida, madre di un’altra santa, Cristina, ha avuto luogo nella chiesa di piazza Farnese; infine, la basilica di Santa Cecilia in Trastevere ha ospitato una riflessione sulla benedettina Ildegarda di Bingen, arricchita da brani musicali composti da quest’ultima.
Fermina si dice convinta che la testimonianza di queste sante costituisca «una buona proposta di evangelizzazione attraverso la bellezza del silenzio, della musica, della verità e autenticità dei messaggi» specie in tempi come quelli attuali, in cui faticosamente si è alla ricerca del senso della vita, soprattutto i più giovani.
È rimasta impressionata dalle sofferenze affrontate ma in modo particolare dall’impegno a «fondare una civiltà sull’amore» profuso da queste donne che continuano a essere «etimologicamente madri di grande ispirazione per tutti noi» la ventenne Lea Amodio, studentessa di Filosofia alla Lateranense. È stato bello, prosegue, «che tanti giovani diversi per nazionalità, lingua, studi, cultura e tradizioni abbiano avuto l’occasione di riconoscere in queste figure di sante dei fari di luce e di sapienza».
Nonostante abbiano tutte condotto le loro esistenze in «periodi molto difficili», la risolutezza e la fiducia in Dio di cui erano provviste, aggiunge la giovane, «ci confortano e inducono a pensare che anche noi possiamo farcela, rimanendo saldi in quest’amore e in questa forza mai illusoria, ma viva ed eternamente presente». La studentessa ricorda come «molto suggestiva» la sosta dinnanzi al monumentale sepolcro di santa Caterina da Siena e il Magnificat intonato dal coro polifonico del Pontificio Istituto di Musica Sacra (Pims) nella piccola chiesa di Santa Brigida che «amplificava il suono fino a riempire tutto lo spazio». Infine, riflette Lea, «sempre perché la musica è veicolo di trascendenza, mi ha colpito il breve concerto con le musiche di santa Ildegarda».
La ragazza avverte il tema della speranza come centrale nella propria vita: «Non si tratta di nutrirsi di utopie ma di essere certi di una presenza fiduciosa che tende la mano lungo la strada, che ci fa restare fermi nella fede durante le imprevedibili tempeste della vita, consapevoli che Cristo è con noi sulla barca in mezzo al mare calmo come nelle acque agitate».
Possiamo sperare perché siamo divinamente amati», le fa eco Lorella Congiunti, 58 anni, docente alla Pontificia Università Urbaniana e madre di 3 figli, anche lei pellegrina sulle tracce delle donne sante dottori della Chiesa. «Nei passi e nel silenzio, nell’ascolto e nel raccoglimento in preghiera — rimarca — ho visto la possibilità di rileggere la mia vita alla luce della speranza». Come Lea, anche Lorella è rimasta colpita dal concerto finale nella basilica di Santa Cecilia durante il quale il coro “Radix Harmonica” ha eseguito alcune composizioni di santa Ildegarda, un’esperienza che definisce «estetica e estatica del tutto coinvolgente». Don Francesco Deffenu, cagliaritano di 32 anni studente al Pims, non dimenticherà la preghiera di fronte all’estasi di Teresa d’Avila scolpita da Gian Lorenzo Bernini nella chiesa di Santa Maria della Vittoria: «Il “bello” con la b minuscola, ovvero l’espressione artistica umana, favorisce sempre l'incontro con il “Bello” con la B maiuscola, autore di ogni bellezza».
Il pellegrinaggio giubilare di «tante persone provenienti da diversi Paesi, unite dalla medesima ricerca della mèta», è stato per il giovane sacerdote sardo lo spunto per «una rinnovata adesione di fede: credo che questo Giubileo possa costituire l’occasione per riporre in Dio ogni nostra speranza, seguendo quel cammino graduale della vita cristiana che — conclude — è ben rappresentato dalla metafora del pellegrinaggio».