· Città del Vaticano ·

Messa del cardinale Pietro Parolin con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede

Il Santo Padre
possa ristabilirsi
e tornare presto tra noi

 Il Santo Padre possa ristabilirsi  e tornare presto tra noi  QUO-060
14 marzo 2025

di Salvatore Cernuzio

È una preghiera «intensa» quella elevata al cielo dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, per la salute di Papa Francesco. «Ci riuniamo in preghiera questa mattina per l’intenzione della salute del Santo Padre, perché possa ristabilirsi e ritornare presto tra di noi», ha detto il porporato durante la messa presieduta questa mattina nella Cappella Paolina del Palazzo apostolico Vaticano alla presenza del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Una liturgia nata da una richiesta degli stessi ambasciatori e celebrata con l’intenzione della guarigione del Papa, ricoverato da circa un mese al Policlinico Gemelli. Non è mancato durante la messa — concelebrata con i superiori della Segreteria di Stato — il ricordo dell’anniversario di ieri dei 12 anni di pontificato di Jorge Mario Bergoglio: «Allora la nostra preghiera si fa ancora più intensa e più viva».

E tutta sul senso e significato della preghiera, ma anche sul tema della parola e delle relazioni quali strumenti di pace, si è snodata l’omelia del segretario di Stato. Nella preghiera «non si tratta di formulare una richiesta, perché Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno», quanto «in primo luogo, di metterci in ascolto del Signore», ha spiegato Parolin. Bisogna anzitutto offrire a Dio un cuore «aperto e attento alle Sue parole», poi va ricercata la volontà di Dio «nel rapporto con gli altri, nelle relazioni con quelli che ci stanno accanto». Relazioni che devono essere sempre fondate sulla «carità», perché «l’amore al prossimo è il banco di prova del nostro amore nei confronti di Dio».

Parolin ha ricordato il passo del Vangelo in cui Gesù mette il moto dell’ira o le offese verbali «sullo stesso piano dell’omicidio». «Sembra un po’ paradossale sembra un po’ esagerato, un po’ estremo, ma è proprio così». Quante volte il Papa ha affermato che le stesse guerre nascono «da dentro», dal cuore dell’uomo, dalla mancanza di parola, intesa come dialogo, e dall’abbondanza di parole cattive. Il cardinale ha ricalcato questo pensiero: «Le guerre che scoppiano nel mondo, le guerre che insanguinano il nostro pianeta e che noi con la nostra diplomazia cerchiamo di evitare, prima di tutto, e poi eventualmente anche di risolvere, di concludere, non nascono nei campi di battaglia (se ci sono ormai campi di battaglia perché tutto è diventato campo di battaglia, anche le città, anche dove vivono i civili): nascono dentro qui, nascono nel cuore dell’uomo, nascono dai sentimenti di odio, di ostilità, che noi portiamo nei confronti degli altri. E da qui, poi, si traducono in atteggiamenti di odio e di ostilità».

«La mano è armata dal cuore e la mano è armata anche dalla bocca», ha affermato ancora Parolin, ribadendo l’invito a «disarmare il linguaggio» per arrivare alla pace: «Non usare un linguaggio aggressivo, non usare un linguaggio offensivo nei confronti degli altri, perché è lì — il Signore ce lo ricorda — che comincia la guerra. Quando sentiamo e proferiamo parole di disprezzo, di avversione, di odio nei confronti degli altri».

La carità, pertanto, ha «la priorità su tutti gli altri obblighi compresi quelli di culto», ha sottolineato ancora il Segretario di Stato. «La riconciliazione con un fratello, con una sorella che ha qualcosa contro di noi, vale a dire qualcuno che abbiamo offeso, che abbiamo giudicato male, che abbiamo maltrattato»: se prima non si compie questo gesto, diventa «un atto ipocrita» accostarsi all’Eucarestia. Non basta limitarsi a dire «scusami», quanto piuttosto fare qualcosa di «radicale» come «mettere da parte ogni strategia di confrontazione per cercare invece di abbracciare buoni sentimenti», ha rimarcato il segretario di Stato: «Si tratta di passare dalla logica dello scontro alla benevolenza, partendo proprio da chi ci è avverso, che consideriamo forse nostro nemico».

La preghiera, in tal senso, aiuta a «riconoscere umilmente che da soli non ce la facciamo», che abbiamo bisogno di un aiuto «dall’altro» e di una mano «dall’alto». Al contempo la preghiera rende evidente «che ogni volta che il Signore ci chiede qualcosa, non ci chiede qualche cosa di impossibile ma è Lui stesso che per primo ce lo dà, ci mette a disposizione i mezzi per realizzare la Sua Parola». Dio dona amore e benevolenza, si tratta allora di «aprire il cuore ad accogliere un dono, prima ancora che di eseguire un comando».

Al termine della celebrazione, Parolin ha ringraziato «per questa bella e opportuna iniziativa» in cui «abbiamo pregato per il Papa: continuiamo a farlo anche personalmente».