· Città del Vaticano ·

La poesia in cattedra - Ascoltando Papa Francesco
Con lo sguardo generoso e la forza di chi è arrivato dalla fine del mondo

Quella energia
sognante e rivoluzionaria

 Quella energia  sognante e rivoluzionaria   QUO-056
08 marzo 2025

di Giuseppe Conte

Le riflessioni di Papa Francesco raccolte e introdotte con cura intelligente e appassionata da Antonio Spadaro e pubblicate in un agile, aureo libro delle Edizioni Ares, sono quanto di più coinvolgente e necessario si può leggere oggi sulla poesia e sulle sorti dell’umano e del mondo. Non sia fuorviante il tono discorsivo, fraterno, mai dogmatico di queste pagine: questo è un libro che ci interpella sul momento tragico in cui versa l’umanità, e ci invita a scegliere e a resistere. Ci incoraggia a sperare ancora. Almeno così è stato per me.

Nella Lettera ai poeti l’invito a non perdere «lo stupore di essere vivi» ha felicemente moltiplicato il mio stupore: nelle parole di Francesco la poesia, la più umile e povera delle arti, che molti ormai negano o addirittura disprezzano, ritrova quella energia sognante, rivoluzionaria che io ho sempre creduto sia giusto attribuirle, la parola del poeta è ancora quella che «protesta, chiama, grida», come oggi sembrerebbe impossibile, il suo lavoro quello di dare forme, vita e corpo, «a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna soffre, creando armonia e bellezza».

In un’altra parte del libro Francesco elogia la metafora: una gioia per me, che a questo tema ho dedicato in giovinezza tanta attenzione: la metafora aiuta a «rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto», aiuta a connettere ciò che è solo apparentemente lontano, fonde in una sola immagine una fantasmagoria di significati. È fondamentale dunque per sviluppare l’immaginazione, e chi ha immaginazione, secondo Francesco, non conosce dentro di sé irrigidimenti, ha il senso dell’umorismo, importante come il sorriso nell’equilibrio della nostra esistenza, conosce la dolcezza di essere misericordioso e interiormente libero.

La letteratura in queste pagine non è mai un laboratorio di tecniche espressive o una semplice pratica di intrattenimento, ma ha sempre a che fare con i desideri, i sogni, le tensioni, le profondità insondabili dell’anima dell’uomo. È sempre carne e sangue. Sofferenza e amore, morte e resurrezione. Dante è visto come colui che ha espresso in maniera sovrumana la profondità del mistero di Dio e dell’amore. La sua Commedia è soprattutto il racconto di un itinerario, di un pellegrinaggio, è il paradigma di ogni autentico viaggio dall’oscurità alla luce, dalla «aiuola che ci fa tanto feroci» alla ricerca di una nuova condizione di armonia, di pace e felicità. Dante non va solo letto e analizzato. Va vissuto e imitato: la sua parabola esistenziale parte dal desiderio e arriva alla felicità data dalla visione dell’Amore che è Dio.

Come la preghiera e la poesia, san Francesco e Dante hanno molto in comune: il primo esce dal chiostro e va a predicare tra la gente del popolo, il secondo adotta la lingua del popolo per essere compreso, entrambi poi amano la bellezza del creato, ed entrambi sono lontani dalla grettezza che lega ai beni materiali. Dante, Dostoevskij, Holderlin, Manzoni, Borges: la costellazione degli autori amati da Francesco è vasta e non ovvia, come le sue predilezioni artistiche, che comprendono Caravaggio e Chagall, o quelle musicali, che arrivano sino ad apprezzare il Wagner della Tetralogia dell’Anello e del Parsifal.

Il suo confronto con la letteratura è costante e ad ampio raggio: da Pontefice scrive l’introduzione al libro di versi di un giovane esordiente, e da giovane professore di Lettere al liceo spinge studenti prima recalcitranti a leggere e poi a scrivere racconti, cui farà la prefazione Jorge Luis Borges.

La verità è che il discorso di Francesco sulla poesia va sempre oltre la poesia in senso stretto, e tocca temi che riguardano la vita e la società, con uno sguardo generoso, con la forza di chi, arrivato dalla fine del mondo, non ha paura di andare contro stereotipi dominanti in un Occidente esausto, a cui, davvero, «manca un po’ di poesia».

Nel discorso per il iv anniversario dei Movimenti popolari Francesco avanza con chiarezza e con solennità, in nome di Dio, la richiesta ai potenti del pianeta di smettere di distruggere boschi e montagne, di inquinare fiumi e mari, di intossicare popoli e alimenti, di costruire e trafficare armi, di sfruttare attraverso la tecnologia e i social la fragilità e la vulnerabilità umana, di far crescere discorsi di odio, pedopornografia, fake news e manipolazioni politiche. Ai governi chiede di non essere proni alle élite economiche, ma di mettersi al servizio dei popoli che chiedono terra, casa, lavoro e una buona vita, in sintonia con tutta l’umanità e il creato, ai capi religiosi chiede di non usare mai il nome di Dio per fomentare scontri e guerre. Tutto questo è connesso con la poesia.

Come per lo spirito evangelico, anche per la poesia il peggio che può capitarle è di essere tradotta in zucchero filato. La poesia partecipa del sogno che spinge oltre la rassegnazione e la resa. Un sogno pericoloso per quanti difendono lo status quo, perché mette in discussione l’egoismo dei forti e il conformismo dei deboli, perché spinge verso nuovi mondi possibili e sconfigge «l’edonismo depressivo» con cui si neutralizza la forza trasformatrice dei popoli e dei giovani.

La poesia fa parte di questa ricerca umanistica alternativa alla globalizzazione, alla tecnocrazia che oggi ambisce al dominio del pianeta. La poesia è un presidio dell’umano. Francesco non potrebbe dirlo con più chiarezza: nell’era dell’intelligenza artificiale non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessarie la poesia e l’amore, quello che un algoritmo non potrà mai sostituire. Gli esempi sono calzanti e commoventi: un algoritmo non potrà mai albergare in tutti i dettagli che compongono le trame delle nostre biografie, in una forchetta che sigilla i bordi dei ravioli fatti dalla nonna, nella battuta di un amico che ci ha fatto tanto ridere, nella prima partita di calcio con un pallone di pezza, nella cura che ci si è presi di un uccellino caduto da un nido. Siamo di fronte a un elogio altissimo della tenerezza dei ricordi, umana per eccellenza.

Il mondo oggi ha bisogno non di ripetitori sonnambuli di ciò che già esiste, ma di sognatori che sappiano vedere l’invisibile nel visibile, e aprirsi al fluente, metamorfico mistero delle cose e a quello eterno di Dio. La poesia, per Francesco, può concorrere a guarire la piaga più pericolosa della cultura odierna che è il nichilismo, che pretende di cancellare la speranza. Se l’umano potrà sopravvivere all’attacco congiunto di forze che vorrebbero spegnerlo, sarà anche grazie a parole come quelle di questo libro. Grazie Francesco, dal profondo del cuore.