Le discriminazioni

di Stefano Leszczynski
Alla vigilia della festa della donna l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, ha presentato alla Camera dei deputati uno studio sul cosiddetto “gender gap” che si va ampliando in tutti gli ambiti connessi al mondo del lavoro. «Oggi le lavoratrici sono vittime di una triplice penalizzazione; in quanto donne, madri e lavoratrici» afferma Franco D’Amico esperto statistico Anmil e autore dello studio. Ma non basta. Le diseguaglianze si estendono fino a comprendere condizioni di particolare fragilità sociale, come nel caso delle donne vittime di infortunio sul lavoro e delle donne straniere. Non a caso Anmil ha deciso quest’anno di presentare in conferenza stampa una serie di testimonianze che riguardano per l’appunto storie di donne straniere e invalide del lavoro. Sono queste le figure estreme, e sempre più numerose, che spiccano tra le 210 mila lavoratrici vittime di infortunio sul luogo di lavoro nel 2024.
Il divario retributivo che penalizza le donne sul piano retributivo, produce effetti negativi anche per
quanto riguarda gli indennizzi che l’Inail corrisponde ai lavoratori disabili da infortunio o malattia professionale con una differenza media nella rendita di almeno 1000 euro l’anno. «La differenza — spiega il presidente dell’Inail Fabrizio D’Ascenzo — non è in alcun modo riconducibile a una disparità di trattamento da parte dell’Istituto che è molto rigoroso nel garantire pari tutela a tutti gli assicurati, ma riflette la disparità retributiva esistente nel mercato del lavoro perlomeno nella quota riferibile al danno patrimoniale». Eh sì, perché nella determinazione della rendita per le invalidità superiori al 16%, «una cosa è la valutazione del danno biologico, che tiene conto del grado di inabilità e dell’età della persona e che è per tutti uguale — spiega D’amico — mentre la parte patrimoniale dipende dalla posizione lavorativa e dalla retribuzione».
Questa discriminazione che colpisce tutte le lavoratrici donne vale ancor più per la donna immigrata, che subisce una doppia discriminazione in quanto si sommano lo svantaggio di essere donna a quello di essere straniera, con effetti negativi sotto il profilo sociale, occupazionale e retributivo. Secondo i dati Istat, infatti, sono impiegate nei settori con salari mediamente più bassi e spesso pagate meno sia rispetto ai loro colleghi stranieri sia rispetto alle italiane: un differenziale uomo - donna di quasi 6.000 euro all’anno.
«Nonostante le donne italiane — afferma la vicepresidente nazionale Anmil, Graziella Nori — abbiano ottenuto importanti conquiste all’interno della società, purtroppo ad oggi risultano ancora inadeguati i loro poteri sociale e politico, dimostrando la loro distanza rispetto sia alla condizione dei propri colleghi uomini sia agli standard femminili dei Paesi occidentali più avanzati. Un presupposto assurdo che diventa critico quando ad esso si somma una disabilità da lavoro. Come Anmil — conclude Nori — cerchiamo di portare alla luce queste dinamiche e di creare una spinta che risvegli l’impegno collettivo a superare i principali fattori di discriminazione di genere, gli ostacoli e le resistenze che la questione richiama».
Le difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di cura della casa e della famiglia continuano a rappresentare un ostacolo quasi insormontabile per l’inserimento della donna nel mondo del lavoro. Se guardiamo agli ultimi dati forniti dall’Istat riferiti al mese di settembre 2024, su quasi 24milioni di occupati circa 13,8 milioni sono maschi e 10,2milioni circa femmine (42,5%). Il tasso di occupazione (15 - 64 anni) risulta pari a 62,1% a livello generale, ma sale a 70,9% tra i maschi e scende a 53,4% tra le femmine; il tasso di disoccupazione femminile (6,6%) risulta superiore di quasi un punto percentuale rispetto a quello maschile (5,7%). Sul piano economico, la retribuzione media annua per il genere maschile è pari a 26.200 euro contro i 18.300 euro di quello femminile, con un differenziale di quasi 8.000 euro.