LA POESIA IN CATTEDRA - Ascoltando Papa Francesco
Il dono di correre

di Silvia Guidi
Servono cattedre di poesia e “cattedrali” capaci di ospitare l’umano nella sua vastità, capaci di dare diritto di cittadinanza a domande di significato che troppe volte vengono considerate irrilevanti e archiviate come inutili.
Finendo, poi, per essere totalmente ignorate nel frullatore mediatico che macina dati e immagini a velocità sempre crescente, lasciando macerie dietro di sè, persone ridotte a utenti, svuotate della capacità di concentrarsi. “Consumatori” ostaggio di un finto eterno presente senza progetti, privo di passato come di futuro.
«Le parole di papa Francesco — chiosa Daniele Mencarelli commentando l’appello di papa Bergoglio a portare in cattedra la poesia — accendono un dibattito che purtroppo manca in questo Paese, intorno ad una parola diventata fantasma, la parola poetica. Viviamo immersi in una sorta di analfabetismo esistenziale; tanto sul versante spirituale quanto su quello laico c’è bisogno di ritornare a quelle discipline, la poesia in primis, che offrano parole rispetto alla conoscenza dell’uomo e alla possibilità di attingere a sguardi, immaginari, epoche diverse in quella forma unica, speciale che è la parola poetica».
Daniele Mencarelli — autore del romanzo Tutto chiede salvezza (Premio Strega Giovani nel 2020, tradotto in video due anni dopo dalla omonima serie Netflix) — è a Perugia per inaugurare la serie di incontri «Francesco tra le righe» organizzati per rendere omaggio al Cantico delle Creature, di cui quest’anno ricorre l’ottavo centenario, e al suo autore, il santo di Assisi teso all’essenziale perché innamorato della vita in tutte le sue forme.
Nei giorni scorsi, sulle pagine di questo giornale abbiamo chiesto ai rettori delle università pontificie che ne pensano della proposta del papa — rilanciata dal libro Viva la poesia (Milano, Edizioni Ares, 2025, pagine 224, euro 18,50, a cura di padre Antonio Spadaro). Oggi facciamo le stesse domande ad un poeta — la sua più recente opera in versi è Degli amanti non degli eroi (Mondadori, 2024) — romanziere — l’ultimo arrivato sugli scaffali delle librerie, ma anche tra le cartelle di file degli audiolibri è Brucia l’origine (Mondadori, 2024) — e sceneggiatore.
«La poesia è piena di metafore» scrive papa Francesco, «comprendere le metafore aiuta a rendere il pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto». La metafora come una palestra di pensiero, oltre che strumento nella cassetta degli attrezzi di chi scrive
La poesia dice, sa nominare, sa dare un nome alle cose, ai sentimenti, alle persone, ai fatti della storia. Spesso per arrivare utilizza altre vie, utilizza la retorica, utilizza la metafora, spesso si affida alla scommessa di un’altra figura retorica, la sineddoche, la parte per il tutto. Ma è proprio la nostra mente che poggia su un sistema, in qualche maniera, analogico. Abbiamo bisogno costantemente di dirci le cose in un altro modo per vederle meglio. E spesso il poeta è quella persona che attraverso una visione diversa riesce ad avverare ai nostri occhi attraverso il testo quella cosa che noi non riuscivamo a dirci, che non conoscevamo di noi o del mondo. E che il poeta attraverso l’uso della figura retorica riesce a rivelarci. È una enorme officina, una palestra, una bottega dove allenare la mente a guardare le cose in modo diverso e ad avvicinarci alle cose con parole diverse e con visioni diverse, spesso più periferiche, laterali. Lo sguardo del poeta, spesso, da un versante diverso sa rivelare e “nominare” la cosa.
«Chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo» continua il papa. Che c’entra il senso dell’umorismo con la poesia? Forse proprio l’essere entrambi figli di un pensiero “altro” che ribalta i binari della logica consueta...
È vero, chi ha immaginazione non si irrigidisce, i poeti hanno sempre cantato l’allegria, la spensieratezza, la poesia è uno sguardo adolescente sul mondo. Forse perché questo tentativo di mettere una distanza tra noi e quello che viviamo per poterlo poi descrivere in parole è una distanza che poi riesce a regalare a chi la frappone tra sè e tutto quello che vive il dono dell’ironia, del saper sorridere di tutto quello che ci capita. In fondo l’esistenza umana, la natura umana è piena di limiti, e la bellezza della poesia e del poeta è anche saper guardare i limiti e, in certi momenti, affrontare gli elementi drammatici dell’esistenza con il filo sottile di chi, utilizzando il linguaggio, “dice” non togliendo il peso, ma facendo di quel peso qualcosa di più sopportabile. Attraverso questo dono, il saper fare comunità attraverso la leggerezza, saper fare comunità di temi che altrimenti sarebbero troppo gravosi da vivere in solitudine. Ho avuto la fortuna di conoscere grandissimi poeti del Novecento, da Mario Luzi a Franco Loi, da Zanzotto a Walcott e ne potrei aggiungere tanti altri. Tutti avevano questo dono, saper scherzare sulle cose, saper guardare ai fuochi della vita con la leggerezza dell’infanzia.
«Chi ha immaginazione — un altro passo di papa Francesco sul valore della letteratura — gode sempre della dolcezza della libertà interiore». Un dono accessibile a chiunque si accosti a poesie o narrazioni che gli “parlano” direttamente. Come (e a volte più) di un amico in carne ed ossa.
Coltivare l’immaginazione è coltivare contemporaneamente tante caratteristiche dell’essere umano assolutamente fondamentali. Chi immagina, chi fantastica, “si intrufola”, vive le vite degli altri. Immaginazione fa rima con immedesimazione. E quindi è vero che in qualche maniera il saper andare in altri luoghi, accrescere il dono della fantasia, saper coltivare le nostre visioni interiori dona un rapporto diverso con la libertà, perché spesso ci fa andare via anche da luoghi, da situazioni, da esperienze, da momenti della nostra vita che sono estremamente gravosi. E quindi coltivare l’immaginazione, a partire dal vivere le vita degli altri, ci permette di vivere molte vite, di guardare il mondo da punti di vista diversi rispetto al nostro. È un moltiplicatore di libertà e, anche, un moltiplicatore di compassione, perché tanto più ho immaginazione, tanto più provo a vestire i panni di altre persone, tanto più saprò vivere sentimenti che non sono i miei, tanto negativi quanto positivi. Saprò essere tante cose, tante persone diverse. Questo è il saper coltivare, appunto, l’immaginazione attraverso questa palestra, questo dialogo con il nostro mondo interiore. Un mondo fatto di visioni che dobbiamo saper disciplinare, perché poi il rischio opposto, nel grande tema della visione, è quello di essere divorati dalle visioni negative, che ci vengono imposte dalla paura. Invece la visione positiva è quella che ci fa correre dentro gambe non nostre, che ci fa correre dentro vite non nostre. Negli ultimi sei, sette anni, da quando ho esordito come narratore, ho avuto l’enorme fortuna di essere letto da tanti ragazzi, e ne ho incontrati a migliaia. Sono sempre più convinto che bisogna rivolgere la parola letteraria a ragazzi sempre più giovani; rigetto completamente la tesi della generazione o delle generazioni fragili, il problema non è dei nuovi, è di noi adulti.