· Città del Vaticano ·

Servizio all’umanità

 Servizio all’umanità  QUO-052
04 marzo 2025

di Antonio Spadaro

Nel 2024 Francesco indirizza due Lettere nelle quali esprime la sua visione della poesia e della letteratura, in una sintesi robusta del suo percorso personale. La prima è uscita all’inizio di agosto 2024 ed è sull’importanza della letteratura nella formazione. La seconda è una missiva indirizzata ai poeti dalle pagine di una antologia della poesia religiosa di tutti i tempi e di tutte le religioni.

La prima era pensata per la formazione dei sacerdoti, ma poi ha deciso di rivolgerla a tutti. In queste sue pagine sembra abbia dato una forma alla sua esperienza personale di lettore e di insegnante di letteratura. Il suo senso fondamentale è semplice: la nostra umanità — e a maggior ragione l’abilità al ministero pastorale — non si forma senza un contatto diretto con le storie raccontate. Abbiamo sviluppato una formazione troppo concettuale perché possa reggere al confronto con l’esperienza: abbiamo perso le parole e ripetiamo le formule. Il nostro linguaggio si è appiattito, e così la nostra immaginazione. La pubblicazione di questa Lettera è stata una decisione forte che riconosce nella pagina letteraria l’apertura di uno spazio interiore di libertà che permette di non chiuderci dentro «poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile». Uno spazio che si apre perfino «quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima», scrive: queste parole sono insieme assolutamente vere e assolutamente sorprendenti.

In particolare, la letteratura ha «a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita». La chiave del desiderio è fondamentale nella vita spirituale e lo è anche nell’esperienza letteraria. Tutti desideriamo. Desiderare ci accomuna. Quante volte, leggendo prosa o poesia, ci siamo ritrovati in una zona franca dove il nostro desiderio è emerso più liberamente, attratto da una storia o da un personaggio o da un verso che ci ha colpiti particolarmente? Quante volte sentiamo che le parole di uno scrittore dicono ciò che pensiamo e proviamo più di quanto noi stessi siamo in grado di fare? Ci sentiamo “letti” dalla pagina che leggiamo. La lettura di romanzi e poesie, quindi, non è un semplice passatempo, ma un mezzo per esplorare le profondità dell’animo umano e per comprendere meglio sé stessi e gli altri. Un buon libro, infatti, «apre la mente, sollecita il cuore, allena alla vita». Questo processo di apertura e comprensione è essenziale per ogni essere umano. Possiamo identificare almeno tre nuclei fondamentali della sua argomentazione.

La prima è il concetto di fare esperienza. Per Francesco leggere un testo letterario significa fare esperienza della realtà, della vita, e quindi è innanzitutto provare emozioni, vedere cose. Questo rapporto con la realtà, che è fondamentale per la fede, rappresenta un punto davvero rilevante. Leggere è un modo di aprire la testa e il cuore per capire meglio la realtà. È «una palestra dove allenare lo sguardo», che esercita a «vedere attraverso gli occhi degli altri». Leggere un testo letterario è come ascoltare la voce di qualcuno. Quindi ascoltare la voce, essere aperti, essere in ascolto sono dimensioni fondamentali dell’esistenza che ci aprono all’esperienza degli altri. Leggere le storie allarga la nostra capacità di fare esperienze che altrimenti non faremmo mai. Il campo della nostra esperienza si amplia perché “viviamo” cose che altrimenti mai potremmo vivere (anche le più belle) o vorremmo vivere (anche quelle peggiori). Ci rende sensibili all’esperienza degli altri attraverso quella dei personaggi: «Usciamo da noi stessi per entrare nelle loro profondità, possiamo capire un po’ di più le loro fatiche e desideri, vediamo la realtà con i loro occhi e alla fine diventiamo compagni di cammino», scrive il Papa.

E chiudendo il libro, arrivati alla fine, le storie restano in noi e continuano a vivere con noi. E così i personaggi. E con la poesia impariamo a sviluppare l’esperienza, imparando a nominarla. Anche i Vangeli sono storie. La carne di Cristo è fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti. Il riferimento alla concretezza della narrativa, del raccontare storie, ci abilita a essere sensibili all’incontro «con un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia».

Dunque, per Francesco è creativo anche chi legge, non solamente chi scrive. Nella sua Lettera arriva ad affermare persino che il lettore è coautore, cioè «riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un’opera ben diversa da quella che l'autore voleva scrivere».

La lettura non è una semplice apprensione, cioè l’apprendimento di qualcosa di esteriore che va inserito all’interno, come se si inserisse il contenuto dentro una scatola, e noi saremmo la scatola. Non è così. Leggere significa riscrivere ciò che un autore ha scritto, diventare autori. Ognuno legge un romanzo, un racconto, una poesia in maniera differente da come possa farlo un altro. Ognuno riscrive le cose alla luce della propria personale esperienza; quindi, si è coinvolti nell’atto della lettura. La lettura è come la partitura musicale in fondo, cioè se non è eseguita non esiste e ogni esecuzione è diversa da un’altra.

Anche perché la lettura attraversa il desiderio. La letteratura ha a che fare con ciò che si desidera dalla vita. Questo ragionamento è molto sottile perché dice che in fondo la lettura è un atto di discernimento che mi aiuta a capire meglio me stesso, e a capire ciò che voglio, ciò che desidero, a comprendere meglio anche i significati stessi della vita. La lettura è presentata come un “esercizio spirituale” che coinvolge mente e cuore, permettendo al lettore di intraprendere un viaggio interiore. Questo percorso favorisce il discernimento e la comprensione profonda della propria vita e del mondo circostante. C’è un riferimento diretto a Proust: se noi non leggiamo è come se scattassimo fotografie senza averle sviluppate. La letteratura ci aiuta a sviluppare queste esperienze della vita che altrimenti non verrebbero sviluppate.

La sua Lettera ai poeti è la seconda e definitiva stesura di una sua riflessione rivolta a un gruppo di quaranta poeti da vari Paesi del mondo che nel maggio 2023 si erano radunati presso la sede de «La Civiltà Cattolica». Il Papa ha ripreso quei contenuti espressi in forma di discorso, e nei quali ha sentito di riconoscersi, e li ha tradotti in forma di Lettera che supera l’occasione. Facendo appello alla sua esperienza personale, propone tre punti di riflessione.

Il poeta è occhio. Il suo sguardo vede la realtà e insieme «sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi». E, in questo senso, è una sfida all’immaginario perché non è una semplice conferma al nostro modo refertuale e calcolante di giudicare il reale. In questo senso anche il Vangelo — per la sua carica di realismo e sogno – è una «sfida artistica», e per questo profetica: aiuta la chiesa a «protestare, chiamare e gridare», afferma con una citazione di Miłosz.

Il poeta è voce che dice, canta e grida le inquietudini umane. L’arte è il terreno fertile nel quale si esprimono le “opposizioni polari” della realtà: le drammatiche tensioni sociali, i conflitti dell’anima, le contraddittorietà dell’esistenza. «Ci sono cose nella vita che, a volte, non riusciamo neanche a comprendere o per le quali non troviamo le parole adeguate», scrive Bergoglio, e il poeta offre loro la sua voce non addomestica e conforme.

Il poeta è porta dell’immaginazione, l’aiuta a superare gli angusti confini dell’io, e ad aprirsi alla realtà complessa e sfaccettata con la «genialità di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti». La poesia ci aiuta a «immaginare in modo nuovo la nostra vita, la nostra storia e il nostro futuro». E questo vale anche per la nostra esperienza di Dio. L’esperienza che facciamo di lui è «sempre “debordante”: tu non puoi prenderla, la senti e va oltre; è sempre debordante, l’esperienza di Dio, come una vasca dove cade l’acqua di continuo e, dopo un po’, si riempie e l’acqua straripa, deborda».

Abbiamo dunque bisogno di guarire la nostra immaginazione da tutto ciò che addomestica il volto di Cristo, «mettendolo dentro una cornice e appendendolo al muro».

«Grazie per il vostro servizio», dice Francesco ai poeti, facendo comprendere come quello della poesia sia un vero e proprio “servizio” alla nostra umanità.

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Il presente volume nasce dal desiderio di far conoscere una sorta di “magistero” sulla poesia che Papa Francesco è andato componendo nel tempo. In realtà, il Pontefice ha fatto spesso riferimento alla poesia e alla letteratura nei suoi discorsi e nei suoi documenti, a volte citando un verso, un autore o il titolo di un’opera. Le sue letture, spesso, salgono alla sua memoria con naturalezza ed entrano a far parte della sua predicazione, del suo pensiero, del suo magistero ordinario, talvolta anche senza virgolettati o citazioni esplicite.

Qui abbiamo raccolto solamente quei testi che hanno a tema la poesia e la letteratura. Essi appaiono molto eterogenei. Lo sono nella loro natura: dalle Esortazioni apostoliche a prefazioni a libri di altro autore. Lo sono anche nei loro contesti: da un discorso agli aderenti ai Movimenti popolari — definiti «poeti sociali» — a una lettera su Dante. Ma è proprio questa eterogeneità che fa comprendere quanto siano pervasive narrativa e poesia nel magistero di Francesco.

Il Pontefice ha voluto accompagnare l’uscita del presente volume con una sua lettera di ringraziamento nella quale, usando la forza delle immagini, afferma che una vita senza poesia è come un «frutto secco». «Viva la poesia!», dunque. Ma soprattutto Francesco lancia una proposta, in forma di desiderio, che non potrà non essere ascoltata e discussa: l’istituzione di Cattedre di poesia nelle “nostre” Università, cioè quelle pontificie, e magari più in generale, in quelle cattoliche sparse per il mondo.