
Pubblichiamo stralci da uno degli articoli del mensile «Donna Chiesa Mondo» di marzo
di Vittoria Prisciandaro
Quando nel 2019 un vescovo italiano chiese scusa a separati, divorziati e risposati civilmente, per «avervi spesso ignorato nelle nostre comunità parrocchiali» l’effetto fu quello di un sasso nello stagno. Nella lettera in cui li invitava a un incontro, Renato Marangoni, titolare della diocesi di Belluno-Feltre, scrisse: «Ci siamo irrigiditi su una visione molto formale delle situazioni familiari a cui eravate pervenuti». Ricevette critiche dure, e da tutto il mondo, ma anche tanti attestati di riconoscenza. Molti erano di donne che ponevano l’accento sull’amore. Perduto, ritrovato, contrastato, liberato.
Parliamo d’amore. Come sentimento resiste, generativo e capace di sorprendere e trasformare. Ma appare più difficile da raggiungere, più complicato da gestire perché oggi le relazioni sentimentali affrontano sfide che a volte rendono il tragitto amoroso tortuoso e imprevedibile e sono cambiate le forme giuridiche e sociali con cui l’amore si incanala.
I tempi dei rapporti sentimentali non sono più assoluti, la durata di una relazione non è prestabilita: ci si separa, si divorzia. Ci si risposa. Le coppie non sono solo quelle tradizionali e il loro percorso è sfaccettato. Le famiglie sono “allargate”. Le donne non subiscono sempre e tutto.
E la Chiesa? Come risponde a realtà umane, sentimentali e sociali mutate, alle nuove forme dell’amore, alla complessità delle situazioni familiari moderne e alle situazioni di fragilità familiare, e che sulle donne si ripercuotono in maniera più pesante?
La Chiesa del Terzo millennio ci ha ragionato in due Sinodi sulla famiglia (2014-2015) e in diversi documenti magisteriali. Francesco con il Motu Proprio Summa familiae cura ha istituto nel 2017 il Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo ii , che succede all’Istituto fondato nel 1982 da Papa Woytjła, dedicato a matrimonio e famiglia. Pensare a una nuova teologia, allargare il percorso di studi in un’ottica di dialogo pluralista, con le discipline umane a 360 gradi e con le esperienze pastorali dei vari continenti è l’orizzonte che è stato dato alla nuova struttura accademica. Qualcosa ha smosso, ma il cambiamento resta faticoso.
«La teologia si è abituata a considerare la famiglia a partire dall’istituzione del matrimonio. È tempo che questa abitudine venga interrotta. Non è più possibile affidarsi a una teologia e a una pastorale del matrimonio che appartengono a un contesto ecclesiale e sociale che non esiste più. Occorre avere il coraggio di percorrere altre strade, più creative» dice Philippe Bordeyne, teologo morale, preside dell’Istituto. Per esempio? «Se una coppia non sposata viene a chiedere il battesimo per un figlio, possiamo risvegliare il desiderio del matrimonio cristiano non partendo dalla presentazione dottrinale del sacramento, ma valorizzando la sostanza di quello che già vivono del matrimonio: l’accoglienza della vita, la fatica di crescere un figlio, l’esperienza meravigliosa dell’amore».
Il matrimonio per la Chiesa non è a tempo determinato, è indissolubile, ma Francesco, emanando dieci anni fa i Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus ha voluto riformare e semplificare le procedure del processo canonico per ottenere la nullità matrimoniale. Non solo appannaggio di vip, teste coronate o comunque persone benestanti, come nell’immaginario collettivo veniva percepita fino a qualche tempo fa, ma accessibile a tutti e più celere.
Al Tribunale della Rota Romana durante la inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, il 31 gennaio scorso, Francesco ha quindi rimarcato la necessità che le procedure siano gratuite. Una risposta ai segni dei tempi. Ci si sposa di meno e di meno in chiesa, si divorzia, e per le donne l’uscita dalla casa coniugale non vuol dire ritornare in quella paterna.
«Le modifiche che Francesco ha introdotto nel processo matrimoniale», spiega Annarita Ferrato, avvocato rotale, direttrice dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Monsignor Vincenzo Zoccali” di Reggio Calabria, «hanno reso l’istituzione ecclesiale del giudizio di nullità matrimoniale uno strumento più accessibile per fornire una risposta più autenticamente pastorale». Il processo di nullità è uno strumento che «consente di superare il distacco che esiste tra un’apparenza di matrimonio e la verità del matrimonio stesso».
E la realtà dei separati e dei divorziati risposati interroga sempre di più la Chiesa. In Italia, a Milano, nel 2008, su input del cardinale Dionigi Tettamanzi, sono nati i primi gruppi per accogliere le persone che si sentivano escluse dalla partecipazione alla Chiesa a causa del divorzio o di una separazione.
«In diocesi moltissime coppie sono separate o divorziate, e nelle stesse parrocchie tanti sono gli operatori pastorali a vivere questa condizione» dice Alessandra Doneda, che con il marito Giulio Gaetani è coordinatrice dei gruppi Acor (dal profeta Osea: la valle d’Acor come porta di speranza). Oggi si lavora non solo sull’accoglienza ma anche sulla gestione della separazione. «In Italia la sofferenza dei figli è maggiore che nel resto d'Europa, perché la separazione è vista come una cosa negativa in assoluto, tante persone vivono la fatica di gestire la relazione con l'ex marito, ex moglie», dice Doneda, citando lo studio Joint Physical Custody of Children in Europe, pubblicato da «Demographic Research» e ripreso da «Avvenire».
Certo non mancano esperienze positive, per i giovani e per le coppie, ma si tratta ancora di eccezioni. A Roma, una volta al mese, il sabato mattina, ci sono coppie sposate che mettono da parte figli e spesa, casa e palestra, quello che comunemente gli italiani fanno nel week end. E escono. Destinazione la basilica di San Giovanni in Laterano, dove partecipano agli incontri Verso il Monte Ararat che da due anni tiene don Fabio Rosini, docente di comunicazione e trasmissione della fede, che ogni settimana commenta il Vangelo della domenica per Radio Vaticana.
Sono coppie di tutte le età, più o meno tremila persone che «si “imbarcano” sull’arca di Noè, e mentre imperversa il diluvio navigano insieme», dice don Rosini che si è inventato una formula che anni fa aveva già collaudato in parrocchia con Gigi De Paolo, presidente della Fondazione per la natalità, e sua moglie Annachiara Gambini, sposati da vent’anni, cinque figli.
Lo schema è fisso: i coniugi mettono a terra un problema molto concreto della loro vita coniugale («Come viviamo l’intimità? Come si fa pace?»), don Fabio fa riferimento alla Parola. Le coppie si confrontano, con whatsapp anonimi fanno domande al prete e ai coniugi, si prova rispondere.
A Padova è partito un corso su Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere, dove insegna Michela Simonetto. Che avverte: «Il pericolo che la Chiesa corre è quello di rimanere ancorata a luoghi comuni e a posizioni che invece di facilitare il dialogo, rischiano di allontanare, apparendo rigide e stantie. La Chiesa deve, invece, avere il coraggio di dirsi e di dire che per secoli ha contribuito a forgiare un certo modello di coppia, basato sulla sopraffazione maschile e sulla sottomissione femminile, arrivando a giustificare le prepotenze e le prevaricazioni maschili e a invitare le donne al sacrificio e alla dedizione familiare».
Suor Fabrizia Giacobbe, domenicana di Firenze, è convinta che «anche se i modi di vivere l’amore sono profondamente cambiati, non pare mutata nei più la convinzione che nell’amore, ossia nell’esperienza dell’amare e dell’essere amati, si gioca il senso della vita». Una convinzione che si scontra però con una realtà segnata spesso da illusioni e ferite, fragilità relazionali e un grande senso di isolamento che la società iperconnessa ha acuito. «Per questo sono fondamentali seri cammini educativi», dice Giacobbe. La religiosa ha incontrato anni fa il gruppo Kairòs, nato nel 2001 da cristiani LGBT+. L’incontro con i giovani lgbt, sostiene, l’ha aiutata a comprendere come essi vivano, nel percorso di maturazione affettiva, le stesse dinamiche dei coetanei. La fede, sottolinea, è per loro una grande risorsa. «Bisogna volersi bene per volere il bene. Per questo il documento finale del Sinodo sui giovani invita ad “aiutare ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre di più la dimensione sessuale nella propria personalità”». Il passaggio da fare, dice Giacobbe, è «da una “pastorale per ” (ad esempio pensata per le persone lgbt) ad una “pastorale con ”, che consenta a tutti i battezzati di essere parte integrante e attiva della vita ordinaria della comunità cristiana».
Il magistero di Francesco riconosce, va in questa direzione. Basti citare Fiducia Supplicans, la Dichiarazione della Dottrina per la Fede che apre, non senza successive precisazioni e contrarietà, alla benedizione delle coppie omoaffettive.