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Da Damasco ad Aleppo per sconfiggere povertà ed emarginazione

Fratellanza e condivisione:
la ricetta dei francescani
per la nuova Siria

   Fratellanza e condivisione:  la ricetta dei francescani per la nuova Siria  QUO-049
28 febbraio 2025

di Stefano Leszczynski

Prima della guerra lanciata nel 2011 dall’ex presidente Bashar al-Assad contro il suo popolo la Siria non era un Paese povero. Oggi rientra a pieno titolo tra le periferie del mondo — spesso ricordate da Papa Francesco — immiserite e depredate da famelici interessi esterni, dalla corruzione e dalla guerra. Delle due risorse nazionali che contribuivano maggiormente al suo Pil, petrolio e agricoltura, solo la prima continua a rimanere appetibile a livello internazionale; mentre le terre sono sempre più incolte e improduttive. Per descrivere la condizione del popolo siriano oggi non ha alcun senso la definizione di “impoverito”, è piuttosto un popolo affamato e aggredito nella propria dignità. Secondo il World Food Program, 13 milioni di siriani soffrono «una fame estrema». Il 90 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, che vuol dire avere a disposizione meno di due dollari e mezzo ogni giorno.

«Per lunghi anni la Siria è stata una grande periferia, abbandonata da tutti — a parlare è padre Bahjat Karakash, parroco della Chiesa di San Francesco ad Aleppo, che subito aggiunge — ma oggi la Siria è anche una grande periferia esistenziale dove tutto deve essere ricostruito, a partire dall’uomo». Una missione impegnativa per i 15 frati francescani della Custodia di Terra Santa che si dividono tra sei parrocchie sparse sul territorio siriano. «Siamo presenti a Damasco, ad Aleppo, a Latakia sulla costa e poi abbiamo ancora una presenza in alcuni villaggi nella provincia settentrionale di Idlib»”.

La transizione iniziata con la fuga di Assad sta muovendo i primi passi, ma il Paese è ancora lontano dall’essere considerato sicuro. Nonostante molte aree interne siano ancora controllate da gruppi islamisti radicali, padre Bahjat e i suoi compagni non si sentono in pericolo, né hanno mai ricevuto minacce a causa della missione caritativa e spirituale che non hanno mai smesso di portare avanti. «Certo le difficoltà non mancano», spiega. «Poi con il cambiamento della situazione politica alcuni equilibri sono stati messi in discussione e noi dobbiamo saperci adattare e rimodellare la nostra opera secondo le esigenze che di volta in volta si presentano. Nel complesso siamo molto rispettati da tutti. Anzi, molti vorrebbero che facessimo di più, ma non ce la facciamo».

Tra gli impegni, che assorbono la gran parte delle energie dei francescani di Siria, quelli assistenziali in favore delle fasce più fragili e povere della popolazione fanno la parte del leone. Ad Aleppo i francescani gestiscono la più grande mensa di beneficenza del Paese: «Una realtà che dà da mangiare a 2500 persone tre volte alla settimana e che rifornisce anche uno dei più grandi ospedali della città fornendo pasti sia ai malati che al personale sanitario», racconta padre Bajhat, spiegando che si tratta di un opera che viene vissuta come una grande responsabilità sociale nei confronti della città.

«È una grande soddisfazione vedere in questi spazi persone di tutte le appartenenze religiose condividere il cibo in spirito di fraternità». Il dialogo, l’accoglienza, l’incontro con l’altro sono tutte caratteristiche che fanno parte del Dna di questi religiosi che proprio di fianco alla chiesa di San Francesco hanno dato vita a un centro per aiutare le persone con bisogni speciali sia materialmente, che attraverso la socializzazione le attività di cura spirituale. «Purtroppo il sistema sanitario del Paese è disastrato e chi deve ricorrere a un intervento chirurgico ha bisogno di essere aiutato finanziariamente per affrontare le spese. E poi vorremmo portare avanti un progetto per la costruzione di un grande centro di fisioterapia e psicoterapia. Un servizio che interessa tutti i siriani soprattutto dopo tanti anni di guerra che hanno lasciato ferite profonde nei corpi e nelle menti delle persone».

La speranza di padre Bajhat Karakash è che la Siria possa ritrovare non soltanto una stabilità politica ed economica, ma che possa recuperare il proprio potenziale umano. Durante la guerra, spiega, tantissimi giovani medici, ingegneri, professionisti hanno lasciato il Paese. «Quello che riusciamo a fare oggi è grazie all’aiuto di molte persone, dei laici che ci stanno accanto. Ma vorremmo fare di più. Speriamo che presto ci siano le condizioni perché le persone possano tornare dall’estero e ricostruire le proprie comunità».