· Città del Vaticano ·

Tornare a guardarsi per riprendere a camminare insieme

 Tornare a guardarsi per riprendere  a camminare insieme   ODS-029
01 marzo 2025

di Flavia Chiavaroli e Sergio Massironi

Si incontrano due traiettorie. La nostra è quella di chi arriva, sale su un vaporetto nel freddo pungente di una mattina d’inverno, sbarca alla Giudecca e ripercorre vicoli, ponti e canali che conducevano al Padiglione della Santa Sede alla lx Esposizione internazionale d’Arte La Biennale di Venezia sino a pochi mesi fa. Ora è rimasto un carcere, che da fuori ricorda il convento che fu in un remoto passato. Nessuna installazione rimanda più ai mesi di enorme afflusso, ma quando le porte si aprono ritroviamo le procedure di sicurezza, i suoni metallici delle chiavi e dei blindati. Le molte soglie da varcare per raggiungere i luoghi della vita quotidiana sono allietate da volti amici. Una via lucis, per come brillano gli occhi di chi lega i nostri volti alla speranza che qui ha portato Papa Francesco e che siamo tornati a tenere, per quanto possibile, viva.

L’altra traiettoria è quella di chi viaggia col cuore e coi sogni, ma si muove dalla propria cella in giorno di sabato per ritrovare il filo del vissuto che ha cambiato il volto del suo luogo di detenzione per sette mesi. Mai tante persone, migliaia e migliaia, erano entrate in una casa di reclusione trovando in chi la abita una guida e una testimonianza. «Con i miei occhi» — titolo dell’esposizione — è ora invito a ripensare volti e sguardi che altrimenti non si sarebbero incrociati seminando interrogativi che invitano al cambiamento.

La forza delle loro voci — Voci dalla Giudecca si chiamerà questa rubrica — non sta nella sofferenza delle donne in carcere, che ci hanno aperto il loro cuore, ma piuttosto nella grande saggezza che questo dolore ha forgiato in loro. La Speranza e il Perdono, così cari al Santo Padre, sono il motore quotidiano per la crescita delle anime recluse, persone che hanno il nostro stesso sguardo, le nostre stesse gestualità, i nostri stessi sogni. Le donne della Giudecca hanno ogni giorno la forza di fare un passo fuori dall’abisso del dolore, fuori dalla paura di sbagliare ancora, fuori dal rancore, e hanno il coraggio di esporsi a nuovi lavori, nuove nozioni da imparare, nuovi incontri con chi, da fuori, vuole tendere loro una mano.

Ma soprattutto hanno la generosa disposizione d’animo di condividere ciò di cui hanno fatto tesoro, nel tempo che hanno a disposizione. La realtà della reclusione dilata il tempo e contrae lo spazio, creando una condizione che costringe a fare i conti con sé stessi e con l’altro che sta accanto, che non si conosceva fino al minuto prima di iniziare ad avere in comune la stanza, l’intimità, il quotidiano.

La proposta che lega noi e loro — traiettorie di vita diverse, ma intessute di una comune fragilità — è quella di scrivere, gesto umano antichissimo e sofisticato, traccia che modella pensieri e li fissa perché scorrano e restino. Scrivere insieme. Ciascuno col suo tratto e il suo colore, ma a realizzare di mese in mese un mosaico che porti fuori, oltre le sbarre, la voce di chi qui fa un pezzo di strada.

«L’Osservatore di Strada» è un ospite cordiale, che fa spazio a molti cui pochi danno la parola. Bisognerebbe dire: cui pochi riconoscono il dono della parola. È una rivoluzione silenziosa, evangelica, politica: chi non è visto esiste, pensa, parla. Anche se ha sbagliato, chi è privato della libertà non è privo di dignità, di intuizioni, di vere e proprie idee. Nessuno è riducibile a ciò che ha fatto e a ciò che è stato: vale anzitutto per noi. Desideriamo essere riconosciuti così: aperti a ciò che ancora non è, portatori di esperienze e desideri.

Ciò che spesso manca, e non solo in carcere, è la parola “insieme”. Stare insieme. Farsi posto. Scrivere, dunque, insieme. Sarà scoprirsi — in entrambi i sensi — e sostenersi. Sarà limitarsi, per lasciare che anche l’altra sia. Palestra di convivenza e di intelligenza, perché per abitare una realtà difficile e un mondo pieno di conflitti occorre allenare emozioni e pensiero.

A sorprendere noi che veniamo da fuori, o meglio che torniamo in questa casa di detenzione, è che chi la abita non comincia da zero. Spesso è avanti a noi, per intuizione e sensibilità. Veniamo dunque a facilitare, e se necessario a mediare, per portare la loro ricchezza fuori e farla conoscere. È un’esigenza, questa, percepita da tanti: sia dagli organizzatori, promotori e curatori del Padiglione, sia dai visitatori, sia dal personale dell’amministrazione penitenziaria. Portare la voce delle donne della Giudecca in piazza San Pietro e in tutto il mondo grazie al digitale corrisponde il desiderio degli autori di questa rubrica di scrollare ciascuno dal proprio quotidiano per guardare oltre il pregiudizio, oltre l’indifferenza verso qualcosa che sembra lontano da noi e scoprire che, anche se con linguaggi differenti, tutti abbiamo la capacità di dischiudere nelle altre riflessioni sopite, ignorate, desiderate e mai espresse.

Chi conosce il dolore conosce anche la Speranza, e diviene lentamente capace di perdonare sé stesso, il proprio nemico e noi tutti per aver volto lo sguardo altrove. Veniamo e verremo alla Giudecca per cambiare.