
Quando sorge un nuovo giorno, la vita ricomincia dopo il riposo notturno. Ci si alza e spesso nell’ombra, per non svegliare chi ancora sta riposando,
si sbrigano le azioni di pulizia
personale. Uno sguardo dalla finestra, per vedere che tempo che fa, e poi eccoci, pronti, con lo zainetto sulle spalle, ad avviarci verso il portone del carcere per cominciare un’altra giornata di lavoro all’esterno.
In questo ultimo percorso c’è tempo per una sosta: è lo spazio dello spirito. Così si entra nella cappella — sempre aperta — e, ancora quasi nel buio per via dell’orario, ci si siede e si prega. È uno spazio tutto per te, dove accedi liberamente, senza che ti venga rivolto un invito, senza che l’operatore di turno sia lì a valutare il tuo comportamento. Insomma, è lo spazio e il tempo in cui ti senti libero e ti esprimi.
Dentro la cappella la luce del Santissimo è il punto di riferimento. Un segno della croce, una genuflessione, uno stringere forte a te il crocifisso, accarezzare con fede le immagini religiose, la statua del Cuore Immacolato di Maria, quella di Padre Pio…
Chi si siede, chi rimane in piedi, chi per pochi attimi, chi per più tempo. Nella penombra che, col passare del tempo, diventa più tenue, preghi. Ti metti in dialogo intimo con chi tu desideri.
Intanto arrivano altre persone, senza distinzione di lingua e colore della pelle. Il silenzio non si interrompe. È il tuo tempo. Il tempo che hai scelto per un dialogo interiore, dettato dal tuo cuore per chi ti consente di vivere.
Non c’è fretta. Tutto è molto composto e ordinato.
Questo avviene ogni giorno non in un un istituto per persone consacrate, ma semplicemente, e per me sorprendentemente, nella cappella di un carcere.
Anche qui ho trovato persone che scelgono di colloquiare con il Padre come si può fare anche da liberi. Qui le parole sono piene di speranza per te e per chi fuori ti pensa, per la tua famiglia, per la tua quotidianità.
Molte volte, al ritorno dal lavoro, c’è ancora tempo per tornare e ringraziare, per dire al Padre come è andata. La cappella è lì, con il suo silenzio, il suo ordine, come il Santissimo che presiede, accoglie e alimenta la speranza che è pane quotidiano.
Forse non in tutte le carceri italiane questo è possibile per motivi logistici, per ragioni di sicurezza che non rendono sempre fruibile la cappella. Ma quando ciò può essere realizzato, la cappella diventa luogo di libertà, se non fisico, certamente per l’animo, dove esprimere il tuo bisogno di riflettere in silenzio sulle tante condizioni della vita e su quelle di chi, all’esterno, pensa a te.
Alla luce del Santissimo ora, in questo Anno Santo, si è aggiunta la lampada che Papa Francesco ha donato ad ogni carcere. Mi piace pensare che dentro la fiammella ci sia anche il mio pensiero che rivolgo a chi mi consente di sperare.
s.c