· Città del Vaticano ·

Il neonato e la vedova

La generosità dei poveri

 La generosità dei poveri  ODS-029
01 marzo 2025

di Nicolaie Atitienei *

«Ragazzi, devo dirlo... Sono incinta... Non l’ho detto ancora a nessuno... Ho sentito che dovevo dirlo ora: voglio condividerlo con qualcuno, non posso tenerlo solo per me». Così, all’improvviso, abbiamo saputo dell’arrivo di un nuovo bambino nella nostra comunità. Come ogni mattina, eravamo riuniti per “l’ora del caffè” che condividiamo con i nostri amici senza dimora per dar loro qualcosa di caldo dopo le notti gelide di Toronto. È stato allora che una giovane donna rifugiata, proveniente dall’Africa, ci ha raccontato della sua gravidanza. Era felice e nello stesso tempo spaventata. Viveva in un rifugio, un luogo dove molte donne non osano dormire, il padre del bambino era all’estero e come ogni giovane relazione anche la sua era una relazione complessa.

Nei giorni successivi, la donna è tornata a trovarci nella nostra missione. In molti le siamo stati vicini e alcuni l’hanno aiutata concretamente. Abbiamo poi saputo che il bambino era nato e che lui e la mamma stavano bene.

Qualche tempo dopo la nascita, la giovane madre è venuta a salutarci portando con sé il piccolo per farcelo conoscere, perché tutti potessimo vedere il miracolo.

Quello stesso giorno, nella nostra missione c’era un’altra madre con quattro figli che, da quando ha perso il marito, ogni anno torna per pregare e offrire un pasto ai poveri in memoria del defunto. Ricordo benissimo quando venne la prima volta: erano passati solo quattro mesi dalla perdita del marito. Ricordo soprattutto il volto di quei bambini mentre pregavano e mentre servivano a tavola. Non si possono dimenticare quegli occhi.

Erano lì anche quando è venuta la giovane madre africana con il suo piccolo. Eravamo in tanti, ma in qualche modo il neonato è arrivato tra le braccia della vedova. Lo teneva stretto mentre pregavamo nella cappella per l’anima del marito scomparso.

C’è sempre un modo inaspettato di consolare chi non può essere consolato. La gioia non sostituisce la perdita. È fragile e, tuttavia, si posa accanto al tuo cuore, come un neonato che si fa stringere tra le braccia. È un segno incarnato di riconciliazione che supera qualsiasi perdita umana.

Vedere il volto del bambino e della vedova, mentre pregavamo, è stato un dono per una comunità come la nostra che accoglie tutti, perché nessuno ci è estraneo, e tocca ogni tipo di perdita. Chi altri avrebbe potuto consolare il dolore di una moglie e dei suoi quattro figli se non il bambino appena nato da una giovane rifugiata senza dimora?

Quando i nostri dolori vengono condivisi con i poveri, riceviamo in cambio la loro speranza. È uno scambio non convenzionale. È una speranza che non tradisce mai perché viene dalla generosità dei poveri.

* Sacerdote ortodosso - St. John
the Compassionate Mission, Toronto