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Il lasciapassare della carità

 Il lasciapassare della  carità  ODS-029
01 marzo 2025

di Federico Piana

Croix-des-Bouquets, dieci chilometri a nord-est di Port-au-Prince. Tutta la zona del comune, a poca distanza dalla capitale di Haiti, è controllata dalle bande armate. È completamente sigillata: non entra ed esce nessuno. C’è un via via solo di paramilitari che si spostano per andare a combattere e tornare, se tornano, feriti e mutilati. Spesso la polizia governativa tenta di forzare i posti di blocco ed allora gli scontri si trasformano in carneficine con decine e decine di morti. Anche se solo pochi chilometri separano Croix-des-Bouquets dagli unici due nosocomi rimasti in piedi a Port-au-Prince, trasportare chi è rimasto in vita trapassato da un proiettile o straziato da una bomba a mano sarebbe troppo pericoloso. Forse impossibile. Ecco perché i capi delle milizie che sono in guerra tra loro e con le forze governative, insanguinando da anni il Paese caraibico, hanno deciso che tutti i feriti debbano essere trasportati all’Hôpital Foyer Saint Camille, che proprio a Croix-des-Bouquets fu fondato da alcuni missionari camilliani nell’ormai lontano 1994. I capi delle bande armate, se avessero potuto, avrebbero tirato giù anche questo ospedale, ma hanno capito che sarebbe stato meglio utilizzarlo non solo per rimettere in sesto i loro miliziani e farli ritornare sui vari fronti di guerra, ma anche per curare le loro mogli, i loro figli, i loro parenti. «E poi — spiega padre Erwan Jean-Marie François — hanno anche compreso che siamo utili alla popolazione povera e affamata e che curiamo ogni persona con gli occhi chiusi, senza voler sapere nulla sulla loro appartenenza. Per questo, fino ad ora, non siamo stati toccati anche se qui vicino diverse altre opere della Chiesa sono state bruciate».

Il religioso camilliano è l’economo dell’ospedale e all’«Osservatore di strada» racconta che i medici e gli infermieri della struttura che lui gestisce ogni giorno si prendono cura di almeno cento persone, molte delle quali sono quelle rimaste ferite negli scontri quotidiani tra ribelli e polizia. «Tra loro ci sono anche i bambini, perché la guerra non risparmia nessuno».

E proprio i bambini sono il cuore della missione voluta e gestita dai camilliani. Nel complesso sanitario Hôpital Foyer Saint Camille, fin dall’inizio, i fondatori hanno voluto creare il Foyer Betlem che ospita numerosi minori disabili mentali e fisici. «Sono almeno un centinaio, accolti in due reparti. E sono quasi tutti bambini abbandonati dalle famiglie che considerano la disabilità una vergogna, una maledizione divina, uno stigma da cancellare».

Padre Erwan Jean-Marie François rievoca con dolore quando nella struttura un papà ed una mamma hanno lasciato in un angolo del cortile il proprio figlio e poi sono scappati. «Lo hanno fatto perché avevano la certezza che qui ci saremmo occupati di lui. Ma molti dei bambini dei quali ci prendiamo cura li abbiamo trovati abbandonati per strada. E non sappiamo dove siano i loro parenti».

Accanto a questi giovani disabili, che hanno bisogno di tutto perché in molti casi non possono neanche muoversi, ci sono le suore camilliane, insieme ad altri operatori e volontari: più o meno una quindicina di persone. «Fanno quasi tutto loro. Li fanno mangiare, somministrano loro le medicine, tengono loro compagnia». Anche i seminaristi che frequentano la struttura li vanno a trovare donando loro amore e sostegno psicologico e spirituale.

Come l’Hôpital Foyer Saint Camille abbia fatto a rimanere ancora operativo garantendo servizi ampi e di qualità come quello dedicato ai piccoli disabili è una domanda che si pongono anche l’Organizzazione mondiale della sanità e Medici senza frontiere. E per la quale il salesiano ha solo una risposta: «Ci dicono: come fare a sopravvivere mentre in altre zone stanno bruciando ospedali e strutture d’assistenza? La spiegazione sta nel fatto che noi ci preoccupiamo di salvare i poveri, i soldi non sono la nostra priorità. Quello che ci interessa è la salute, la vita della gente. Se vedono che fai il bene non ti toccano».

Un esempio lampante riguarda altri bambini. Quelli che arrivano fino alle porte del nosocomio spinti dalla fame: «Sono malnutriti e noi diamo loro da mangiare alimenti proteici quasi ogni giorno anche da portare a casa, in modo tale che questa cura alimentare possa essere il più possibile continuativa. E poi distribuiamo cibo anche a 500 famiglie». Economicamente chi sovvenziona tutto questo? «Sono i nostri confratelli italiani di Torino, senza l’aiuto dei quali non potremmo fare nulla. Il nostro Stato, purtroppo, per la salute non si impegna per niente».