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DONNE CHIESA MONDO

Il racconto

Quando l’ascensore si è rotto, storia di Joy e Andrea

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01 marzo 2025

È iniziato tutto con un sorriso. O forse con un ascensore rotto. Joy e Andrea hanno ricordi quasi concordanti su quando hanno capito che la loro storia sarebbe diventata una grande storia. E entrambi sono coscienti che è stata straordinaria fin dall’inizio.

Incontriamo Joy e Andrea in un appartamento piacevole e accogliente. È un luogo pieno di vita: l’appartamento dato in comodato d’uso gratuito dalla parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata nel quartiere Tuscolano-DonBosco di Roma, dove la suora orsolina Rita Giaretta e la consorella Assunta Pavanello fanno fraternità insieme a giovani donne, spesso sopravvissute alla tratta. Siamo seduti a un tavolo che ha visto tante cose: conversazioni, preghiere, decisioni e momenti di festa. È qui, proprio qui, che Andrea ha chiesto a suor Rita la mano di Joy. Perché era chiaro a tutti: suor Rita è la madre di Joy.

Joy Ezekiel, nata nel 1993 a Benin City, nel sud della Nigeria, ha intrapreso un viaggio che è terribile raccontare perché il cuore fa fatica a seguire. A 23 anni è partita per l’Italia con false promesse. Il deserto è stato un calvario, la Libia un inferno. 1000 persone in una cantina, fame, umiliazioni, violenze di ogni tipo, compreso uno stupro di massa. Più avanti nel Mediterraneo: 150 persone in un gommone alla deriva in mare aperto. «Chi sa navigare?». Nessuno. Una madre alza al cielo la sua bambina appena nata e prega: «Salvaci, Dio, fallo per questa bambina». Si avvista una nave che viene a prenderli. Quarantacinque persone sono morte, le altre vivono.

L’Italia sembrava il paradiso promesso a Joy. Ma si rivelò subito un'altra forma di prigionia. La compaesana di Castel Volturno, grosso comune nella provincia di Caserta in Campania, che aveva finanziato il suo viaggio ora esigeva il suo tributo: la prostituzione. Ma prima la Madam portò la nuova arrivata da un uomo che le strappò dal grembo il figlio non ancora nato: Joy era approdata in Italia incinta di quattro mesi. Qualche giorno dopo era in strada e aveva il suo primo cliente. Doveva saldare un “debito” di 35.000 euro con la Madam. Per un anno ha vissuto una vita tra disperazione e speranza calcolata. Joy pregava: «Dio, portami dei clienti». Oggi dice: «Avrei dovuto pregare: liberami».

Un giorno ce l’ha fatta. Ha corso, e qualcuno l'ha aiutata. Gli agenti di polizia la portarono da suor Rita a Casa Rut, un luogo di guarigione a Caserta. «Ho chiesto perdono a Dio perché pensavo che se ne fosse andato». Rita, la suora dagli occhi scintillanti e dal cuore aperto, divenne sua madre. Joy ricominciò da capo a Caserta. Imparò l’italiano, recuperò la maturità, lavorò in una cooperativa. Poi Roma. Un diploma di mediatore interculturale. Conferenze nelle scuole e convegni. Raccontando la sua storia e quella di tanti altri. Dando voce alla speranza.

E poi, non molto tempo fa, è arrivato Andrea Francalanci.

Joy, che stava frequentando un corso di operatore socio sanitario a Roma, visitava spesso l’appartamento di suor Rita al sesto piano. Andrea, nato ad Arezzo, lavorava in uno studio di registrazione nello stesso condominio, al piano terra.

Un giorno l’ascensore si ruppe. Joy entrò nello studio incuriosita: «Cosa ci fate veramente qui?». «Il sorriso», dice oggi Andrea, «il sorriso mi ha lasciato senza fiato».

Non poteva dimenticare quel sorriso. Chiese alla portinaia: «Chi è quella ragazza?». «Intendi Joy?». Il portiere gli diede il libro (con la prefazione di Papa Francesco) che racconta la storia di Joy. Andrea lo lesse. Il sorriso che aveva «seminato qualcosa nel mio cuore» assunse un orizzonte inaspettato.

Si incrociarono di nuovo qualche settimana dopo. L’ascensore - con i suoi rivestimenti interni rosa acceso - era tornato a funzionare e Andrea accompagnò Joy al sesto piano. Lui si sentiva «un p0’ in trappola». Si misero a ridere. E lei decise di dargli il suo numero. «Così non dovrai più chiedere alla portinaia».

Poi una passeggiata in due a Villa Borghese. Senza mezzi termini. «Cosa vorresti dalla vita?». Joy voleva un futuro, una famiglia, letizia, felicità. Andrea voleva lo stesso. Nelle relazioni precedenti «non ero mai sicuro di quanto potessi spingermi, tutto era sempre un po’ sospeso» racconta oggi. Ma con Joy era tutto chiaro.

Si sono sposati il 5 ottobre 2024. Un matrimonio per tutta la parrocchia, per tutto il quartiere, perché l'amore si diffonde, si riversa, contagia. Rita era la wedding planner, la fiorista, l'organizzatrice, tanto che a un certo punto dovette essere mandata via: «Ora vai da tua figlia, stai facendo troppo!».

Suor Rita ha poi accompagnato la sposa all'altare, come farebbe normalmente il padre o la madre naturale. Le ginocchia le tremavano mentre faceva questo passo, ricorda. «Non avrei mai pensato che nel percorso della mia vita, anche religiosa, potesse arrivare anche questo: che Dio mi desse anche questo dono di accompagnare una figlia in questo. Era come se fosse anche lui che accompagnava Joy, ma aveva bisogno di me, di accompagnarla e anche Andrea».

Joy dice di Andrea: «Amo tutto di lui. Il suo sorriso, i suoi gesti, la sua voce calma. Lui è l'amore per me». Andrea dice di Joy: «Per me è quello che dice il suo nome: una grande gioia». La sua famiglia inizialmente aveva alcuni pregiudizi tipici nei confronti della fidanzata nigeriana. Ma una ragazza con questa forza e questa speranza li ha conquistati tutti. «Dio crede nel nostro progetto», dice oggi Andrea.

Suor Rita, tuttavia, all'inizio era un po' titubante. Osserva che spesso le sue figlie si sposano troppo in fretta per fare i conti con il loro passato. «Il cuore batte, è caldo», spiega, «ma bisogna anche lavorare sull'amore. L’amore deve diventare un dono». Come nel caso di Joy e Andrea: «Questi due volevano crescere insieme, non solo trovare una casa. Volevano scoprire insieme il progetto di Dio». E quel progetto era quello di creare una famiglia, aperta ai bambini, aperta a ciò che li circonda, un segno di luce per gli altri.

E forse è stato così fin dall'inizio. Un sorriso. Un ascensore rosa rotto. Due giovani che si sono trovati. Una storia che è diventata più grande di quanto potessero immaginare.

E un amore che dura perché ama.

di Gudrun Sailer
Giornalista Vatican News


Tratta, 50 milioni di vittime


L’ultimo  Rapporto Globale sulla Tratta di Persone 2024 dell’Onu, rileva che il numero di vittime  è di circa 50 milioni di persone ed è aumentato del 25% nel 2022 rispetto al 2019. Il rapporto registra anche un aumento del 31% del traffico di minori nei tre anni considerati. 

 Le statistiche evidenziano l'impatto sproporzionato della tratta di esseri umani su donne e ragazze, con il 61% delle vittime  di sesso femminile che vengono principalmente sfruttate sessualmente. Per i ragazzi, il lavoro forzato è la forma di sfruttamento più diffusa (45%), mentre il 47%  è vittima di altre forme di sfruttamento, tra cui la criminalità forzata, in particolare le truffe online e l’accattonaggio forzato.

Le preoccupazioni riguardanti il traffico di minori riguardano anche le nazioni più ricche, dove sono stati rilevati diversi casi di sfruttamento sessuale.

 Il 30 luglio è la Giornata Internazionale istituita dalle Nazioni Unite nel 2013 per richiamare l’attenzione su questa moderna forma di schiavitù e sulla necessità di proteggere i diritti umani delle vittime.