· Città del Vaticano ·

Riflessioni sull’omelia preparata dal Papa per il Giubileo dei diaconi

Testimoni di speranza
e gratuità
nella Chiesa di oggi

 Testimoni di speranza e gratuità  nella Chiesa di oggi  QUO-048
27 febbraio 2025

di Lazzaro You Heung sik*

Il Giubileo dei diaconi è stato un evento di grande intensità spirituale e pastorale. Non solo perché ha offerto un’occasione per riflettere sulla centralità del diaconato nella vita della Chiesa, ma perché ha reso visibile una realtà che spesso rimane ai margini delle narrazioni: quella di uomini che nel silenzio costruiscono ponti tra la Chiesa e il mondo. In questi anni del mio servizio al Dicastero per il clero, come in questi giorni giubilari, ho avuto modo di ascoltare le loro storie, i loro percorsi vocazionali, le loro sfide quotidiane. Ho percepito la loro passione per il servizio, ma anche le fatiche e i limiti di un ministero che, pur essendo presente nella Chiesa fin dalle sue origini, ancora oggi incontra resistenze e incomprensioni. Eppure, proprio per questo, il diaconato si rivela più che mai necessario.

Un ministero che interroga la Chiesa


L’Incontro internazionale organizzato dal Dicastero per il clero, sul tema Diaconi in una Chiesa missionaria e sinodale: per essere testimoni di speranza, ha messo in luce con chiarezza il valore del diaconato come ministero essenziale per la vita ecclesiale. Non un’appendice, non un grado “minore” del sacramento dell’Ordine, ma un pilastro portante di una Chiesa che vuole essere sempre più sinodale e missionaria. Il convegno, svoltosi presso l’auditorium di via della Conciliazione, ha riunito oltre 1.500 persone tra diaconi, spose, vescovi, presbiteri e teologi, evidenziando il ruolo imprescindibile del diaconato nella vita ecclesiale. L’evento ha ricordato come i diaconi siano stati «custodi del servizio della Chiesa» nel corso dei secoli, testimoniando il volto di una Chiesa missionaria, vicina agli ultimi e agli emarginati.

Nel suo intervento la professoressa Serena Noceti ha parlato del diaconato come espressione di una Chiesa che serve, e non solo di una Chiesa che insegna. Viviamo in un’epoca in cui il clericalismo ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue distorsioni. Il diacono è colui che rompe questa logica: il suo ministero non è quello del potere, ma della prossimità. Tuttavia, paradossalmente, è proprio questa identità a renderlo meno visibile, meno riconosciuto. Se il diacono è un ponte, significa che la sua vocazione è abitare le soglie, stare negli spazi intermedi, rendere possibile il passaggio tra la comunità ecclesiale e il mondo. Ma quanti oggi nella Chiesa sono davvero disposti ad abitare questi luoghi di frontiera? Il professor Dario Vitali, consultore del Dicastero per il clero, ha evidenziato come la vocazione del diacono sia quella di curare il corpo ecclesiale in tutti i suoi bisogni, in una complementarità con il presbitero e il vescovo.

Le testimonianze di diaconi provenienti da ogni continente hanno offerto una panoramica sull’importanza del ministero dei diaconi nel mondo: mentre l’Europa e il continente americano vedono una forte crescita, in Asia, Africa e Oceania il ministero diaconale è ancora poco sviluppato. Un dato che invita la Chiesa a interrogarsi sulle difficoltà che impediscono una maggiore implementazione di questo ministero in alcune realtà ecclesiali. Quali sono dunque le cause? Sono diverse le risposte: questioni culturali, modelli ecclesiologici diversi, difficoltà nella formazione. Ma forse la risposta più profonda sta altrove: in una certa fatica ad accettare la piena dignità del ministero diaconale. Se si continua a pensare alla Chiesa come a una piramide, il diaconato non troverà mai davvero il suo spazio. Ma se invece la vediamo come un poliedro — per usare l’immagine cara a Papa Francesco — allora il diaconato appare per quello che è: una delle espressioni fondamentali del volto servitore della Chiesa.

L’omelia del Papa: il diacono come custode della gratuità


Domenica 23 febbraio, nella basilica di San Pietro, la celebrazione eucaristica con l’ordinazione di 23 nuovi diaconi provenienti da diversi Paesi, ha rappresentato un altro momento di grande profondità. L’omelia di Papa Francesco — letta dall’arcivescovo Rino Fisichella — ha toccato il cuore della questione: il diacono è chiamato a essere testimone della gratuità di Dio. Tra i punti trattati nell’esortazione del Papa vorrei sottolinearne tre.

Il perdono. Il diacono è colui che costruisce la comunità attraverso la misericordia. Non solo predicandola, ma vivendola concretamente. Ho pensato a quanto oggi sia difficile questa vocazione, in un mondo che premia la vendetta più del perdono, il rancore più della riconciliazione.

Il servizio disinteressato. «Fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6, 35), ha ricordato il Santo Padre. Eppure, in una cultura che misura tutto in base al risultato, è difficile accettare questa logica. Quante volte anche noi, dentro la Chiesa, siamo tentati di cercare riconoscimenti, di misurare il nostro servizio in termini di efficacia? Il diacono, invece, è chiamato a servire senza calcoli, senza tornaconti, con la sola logica dell’amore.

La comunione. Il diacono non è solo un uomo della carità, ma anche un uomo dell’unità. È colui che tiene insieme la liturgia e la strada, l’altare e le periferie. Ma quante volte il nostro modo di vivere la fede rischia di separare questi ambiti, di renderli mondi paralleli?

Il Papa ricorda che a san Lorenzo, patrono dei diaconi, «quando fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: “Ecco i nostri tesori!”. È così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, con le parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: “per noi tu sei importante”, “ti vogliamo bene”, “ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita”. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete». Ecco, dunque il diacono è proprio questo: colui che tesse legami di comunione e aiuta la Chiesa a riscoprire i suoi veri tesori.

Verso un rinnovamento del diaconato


Uno degli obiettivi a cui punta il Dicastero per il clero è avviare la revisione della Ratio formationis e del Direttorio per la Vita e il Ministero dei Diaconi. Sono documenti che risalgono al 1998, e oggi la realtà del diaconato è molto cambiata. C’è bisogno di un nuovo slancio, di un rinnovamento che parta non solo dalla teoria, ma piuttosto dalla prassi. Penso che una delle sfide più grandi sarà quella della formazione. Il diacono è spesso un uomo sposato, con un lavoro, con una vita familiare intensa. Come accompagnarlo nel suo ministero senza sovraccaricarlo, senza schiacciarlo sotto il peso di troppe richieste? Come aiutarlo a integrare il suo servizio con la vita quotidiana? Un’altra sfida sarà quella di rendere il diaconato sempre più visibile e riconosciuto. Non per una questione di prestigio, ma perché la Chiesa ha bisogno del suo servizio. Oggi più che mai, in un mondo che ha smarrito il senso della gratuità, il diacono è un segno profetico.

Per una Chiesa diaconale


Dopo questi giorni intensi, nutro in me una convinzione e una speranza profonde: il diaconato non è solo un ministero, è una chiamata per tutta la Chiesa. Se la Chiesa vuole davvero essere fedele al Vangelo, deve diventare sempre più diaconale. Deve riscoprire la logica del servizio, dell’umiltà, della prossimità. E forse è proprio questo il messaggio più grande che il Giubileo dei diaconi ci lascia: non c’è Chiesa senza diaconi, perché non c’è Chiesa senza servizio. E laddove la Chiesa si dimentica del servizio, si dimentica anche di se stessa.

*Cardinale prefetto del Dicastero per il Clero