· Città del Vaticano ·

Il magistero

Drawings and messages of healing for Pope Francis under the statue of John Paul II outside of ...
27 febbraio 2025

Martedì 25

Camminiamo insieme
nella speranza

In questa Quaresima, arricchita dalla grazia dell’Anno Giubilare, desidero offrirvi alcune riflessioni su cosa significa camminare insieme nella speranza, e scoprire gli appelli alla conversione che la misericordia di Dio rivolge a tutti noi, come persone e come comunità.

Prima di tutto, camminare. Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” fa pensare al lungo viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa, narrato nel libro dell’Esodo: il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele.

Non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari.

Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre.

In secondo luogo, facciamo questo viaggio insieme. Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa.

I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari.

Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio; significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso.

Con fede
nella promessa
della vita
eterna

Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza.

In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni.

Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità.

In terzo luogo, compiamo questo cammino insieme nella speranza di una promessa.

La speranza che non delude, messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale.

Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto e vive e regna glorioso.

La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!

Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna.

(Messaggio per la Quaresima 2025)

Estirpare
il cancro
dell’abuso
sull’infanzia

Tra le molte questioni che potrebbero sorgere sull’Intelligenza Artificiale, e che certamente durante i vostri lavori affronterete in modo più sistematico, me ne viene in mente una che mi permetto di sottoporvi: quella della responsabilità.

Voi sapete che l’uso di internet crea una sensazione d’impunità, come se una grande distanza ci separasse da ciò che accade, mentre lo osserviamo da una finestra lontana.

Già Adamo ed Eva tentarono di scaricare la propria colpa su chi li aveva tentati e, in modo ancora più grave, il re Davide cercò di far sparire le tracce del suo delitto, al punto da commettere un crimine ancora più orribile.

L’allontanarci dalla nostra responsabilità non è quindi una novità.

Nel caso dell’Intelligenza Artificiale, questa pretesa impunità sale di grado, poiché dalla mera visione, trasmissione o raccolta di materiali inappropriati si passa alla creazione di materiale “nuovo”, sintetico.

Il fatto che non sia stata la nostra mano a produrre questi materiali potrebbe creare la falsa illusione che non siamo noi a “fare” qualcosa di vergognoso: ad aggredire una persona, a rubare un’immagine, a usare un concetto o un’idea altrui, a esporre qualcosa di intimo che doveva rimanere nella sfera privata della persona.

Ma, non è vero, la macchina segue i nostri ordini, esegue, non prende le decisioni, ma viene programmata per farlo.

Come noi conosciamo il rischio che corriamo nel salire su una macchina molto potente se spingiamo sull’acceleratore o invadiamo la carreggiata opposta, così l’uso di queste tecnologie può causare danni.

Di tali danni deve rispondere, nel quadro della propria responsabilità, sia chi utilizza la macchina sia chi l’ha ideata affinché fosse sicura.

La Scrittura ci può illuminare su come rispondere a queste sfide, proprio nell’episodio sopracitato di Davide, quando il profeta Natan rimprovera al re il suo peccato.

In primo luogo, dando voce a Dio e alle vittime che Lo implorano, di modo che si prenda coscienza del danno che si sta causando.

In secondo luogo, smascherando la menzogna che consiste nel farci scudo della tecnologia per alleggerire la nostra coscienza, chiedendo alle persone, agli ideatori di queste tecnologie e alle autorità competente d’imporre limiti e norme chiare, concretamente valutabili, che consentano di perseguire il loro uso nocivo o delittuoso.

(Messaggio ai partecipanti
al iv Congresso latinoamericano
promosso dal Centro
de Protección de menores - Ceprome)

Mercoledì 26

“Fiutare”
la presenza
di Dio nella
piccolezza

Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni.

In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore e ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa.

Luca dunque racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi, andando incontro al compimento della sua missione.

Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio.

Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto.

Loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga.

Nel Tempio, che è «casa di preghiera», lo Spirito Santo parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti.

Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé.

Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola,

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli:

luce per rivelarti alle genti

e gloria del tuo popolo, Israele».

Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti.

Una
testimonianza
oltre
le apparenze

È testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo.

Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come “sorella” che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede.

In quel giorno, Simeone non è l’unico a vedere la salvezza fattasi carne nel bambino Gesù.

Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera.

Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo.

Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza.

Imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi “pellegrini di speranza” che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno “fiutare” la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle.

(Catechesi per l’udienza generale)