Onda gioiosa

di Vincenzo Varagona*
Una scia di fazzoletti gialli sabato scorso ha percorso festante via della Conciliazione. Un corteo composto, regolato da 22 cartelli, è partito dalla nuova piazza Pia diretto verso la Porta Santa della basilica Vaticana. Erano i circa 1.300 fedeli di diocesi delle Marche, giunti a Roma con un treno speciale e tanti pullman, insieme con l’arcivescovo di Pesaro e di Urbino - Urbania - Sant’Angelo in Vado, Sandro Salvucci, e il vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, Andrea Andreozzi.
«Una scommessa di fede e di speranza — commenta Marina Venturini, responsabile dell’organizzazione, coadiuvata da uno sciame di volontari — perché ha stimolato la vita e la pastorale di decine di parroci e delle rispettive comunità. Tanta gente si è riavvicinata alla parrocchia grazie a questo evento».
Tra i vari momenti del pellegrinaggio, nella chiesa di San Gregorio vii si è tenuta la liturgia penitenziale presieduta dal vescovo Andreozzi: decine di sacerdoti a disposizione per le confessioni, cui è stata dedicata buona parte della mattinata. «Anche questa — sottolinea il vicario generale della metropolia di Pesaro, don Marco Di Giorgio — una bella sfida: accanto a chi si accosta abitualmente al sacramento non sono stati pochi a recuperare questo momento di fede».
Il passaggio della Porta Santa della basilica Vaticana, cui è seguita la celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Pesaro all’altare della Cattedra, è stato un momento tanto atteso, da qualcuno anche sognato, vissuto fisicamente in pochi secondi, perché dietro migliaia di persone, comunque compostamente, ordinatamente, chiedono di entrare. Una folla immensa, ma silenziosa, formata soprattutto da tante famiglie. Se ne stupisce anche il presule Salvucci, nell’omelia: «Un colpo d’occhio — commenta con orgoglio — straordinario». Il primo pensiero è di affetto verso Papa Francesco, ricoverato al Gemelli. Un altro, alla ricorrenza della Cattedra di San Pietro. «Fa effetto — osserva il presule — pensare che siamo davanti alla tomba di Pietro: non un simbolo, ma una memoria storica davanti alla quale confermare la nostra professione di fede, nel luogo dove egli ha reso testimonianza a Cristo. Oggi la parola di Dio illumina in modo speciale i nostri gesti. Lui è il fondamento, Lui è la roccia. Lui è la pietra su cui dobbiamo costruire. Cristo Gesù è la nostra speranza e la speranza è come un’ancora sicura e salva per la nostra vita, un’ancora che possiamo afferrare per trovare rifugio in Colui che, stiamo certi, non permetterà che veniamo sopraffatti dal male».
Ne è certo Nicola, uno dei pellegrini, stupito dalla grande partecipazione dei fedeli: «È stato veramente un gesto di popolo — dice —. Non un popolo anonimo, ma tantissime persone consapevoli, unite da “qualcosa”, da “qualcuno”, e segnate da un’esperienza. In secondo luogo, mi piace sottolineare il sentimento che è maturato man mano che venivamo introdotti all’evento: quello della gratitudine, per quanto ci è stato dato: la limpida giornata, il riconoscimento di tanti amici incontrati, l’attenzione e l’accoglienza dei volontari, il gusto della riconciliazione, lo splendore della basilica e la bellezza della liturgia».
Anche Loretta ha vissuto momenti di grande impatto emotivo, ispirata dal desiderio di rafforzare la fede. «A colpirmi in particolare — afferma — il momento penitenziale, che mi ha messo di fronte alle mie fragilità, raccolte con parole di grande conforto e incoraggiamento, ma poi un po’ tutta la giornata, vissuta con l’intento di trovare una rinnovata spiritualità nel segno della speranza».
Quando alla fine di tutto Alessandra, una delle responsabili, alle 22 finalmente riesce a sedersi, è distrutta, ma felice. Tutto è filato liscio e — per chi potrà — l’arrivederci è al prossimo Giubileo, ma la comunità che si è rafforzata si ritroverà molto prima.
*Presidente dell’Unione cattolica della stampa italiana