· Città del Vaticano ·

Domenica 23 febbraio - Giubileo dei diaconi
L’omelia preparata dal Pontefice e letta dall’arcivescovo Fisichella durante la celebrazione giubilare
nella quale 23 uomini hanno ricevuto l’ordinazione diaconale

Ponti tra l’altare e la strada per costruire
perdono e comunione

 Ponti tra l’altare e la strada per costruire perdono e comunione   QUO-045
24 febbraio 2025

«Fratelli e sorelle, e soprattutto voi, carissimi diaconi, e voi che tra poco, per imposizione delle mani, entrerete nell’ordine sacro del diaconato, mi fa particolarmente piacere dover dare lettura dell’omelia che Papa Francesco avrebbe, lui stesso, comunicato a tutti quanti voi in questa domenica particolare. Nella celebrazione eucaristica, dove la comunione assume la dimensione più piena e più significativa, sentiamo Papa Francesco, benché in un letto dell’ospedale, vicino a noi; lo sentiamo presente in mezzo a noi. E questo ci obbliga a rendere ancora più forte, più intensa, la nostra preghiera, perché il Signore lo assista nel momento della prova e della malattia». Così l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione - Sezione per le Questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo, durante la messa da lui presieduta nella basilica Vaticana in occasione del Giubileo dei diaconi. Nella mattina del 23 febbraio, vii domenica del tempo ordinario, alla presenza di cinquemila fedeli, tra cui 2.500 diaconi, insieme con il presule (al quale il Papa ha affidato l’organizzazione dell’Anno Santo 2025) hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il Clero, e Mauro Gambetti, arciprete della basilica, entrambi saliti all’altare della Confessione al momento della preghiera eucaristica, e il cardinale Américo Manuel Alves Aguiar, vescovo di Setúbal, in Portogallo. Tra gli altri concelebranti, l’arcivescovo Andrés Gabriel Ferrada Moreira, segretario del Dicastero per il Clero, e i monsignori Graham Bell e Graziano Borgonovo, sotto-segretari del Dicastero per l’Evangelizzazione. La liturgia della Parola, in lingua italiana, è stata scandita da un passo del primo libro di Samuele (26, 2.7-9.12-13.22-23), dal Salmo 102 «Il Signore è buono e grande nell’amore» e da un brano della prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15, 45-49). Il Vangelo proclamato è stato quello di Luca (6, 27-38). Nel corso della celebrazione, in ventitré hanno ricevuto l’ordine sacro del diaconato. Il gruppo più numeroso, con sei nuovi diaconi, era quello proveniente dalla Colombia, seguito da italiani, messicani, spagnoli e statunitensi, tre ciascuna per nazione; due i polacchi e altrettanti i brasiliani; uno era francese. La celebrazione è stata coordinata da monsignor Massimiliano Matteo Boiardi, della Fraternità sacerdotale san Carlo Borromeo, cerimoniere pontificio, ed è stata animata dal coro della Cappella Sistina, diretto dal maestro Marcos Pavan. Apertosi sulle note del canto “Chiesa di Dio, popolo in festa”, il rito si è concluso con l’inno giubilare “Pellegrini di speranza”. Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia preparata dal Santo Padre e letta dall’arcivescovo Fisichella.

Il messaggio delle Letture che abbiamo ascoltato si potrebbe riassumere con una parola: gratuità. Un termine certamente caro a voi Diaconi, qui raccolti per la celebrazione del Giubileo. Riflettiamo allora su questa dimensione fondamentale della vita cristiana e del vostro ministero, in particolare sotto tre aspetti: il perdono, il servizio disinteressato e la comunione.

Primo: il perdono. L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana. Gesù ce ne indica l’esigenza e la portata quando dice: «Amate i vostri nemici» (Lc 6, 27). Ed è proprio così: per crescere insieme, condividendo luci e ombre, successi e fallimenti gli uni degli altri, è necessario saper perdonare e chiedere perdono, riallacciando relazioni e non escludendo dal nostro amore nemmeno chi ci colpisce e tradisce. Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo. Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere — e ad insegnare agli altri a vedere — in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto.

Di questa apertura di cuore ci parla la prima Lettura, presentandoci l’amore leale e generoso di Davide nei confronti di Saul, suo re, ma anche suo persecutore (cfr. 1Sam 26, 2.7-9.12-13.22-23). Ce ne parla pure, in un altro contesto, la morte esemplare del diacono Stefano, che cade sotto i colpi delle pietre perdonando i suoi lapidatori (cfr. At 7, 60). Ma soprattutto la vediamo in Gesù, modello di ogni diaconia, che sulla croce, “svuotando” sé stesso fino a dare la vita per noi (cfr. Fil 2, 7), prega per i suoi crocifissori e apre al buon ladrone le porte del Paradiso (cfr. Lc 23, 34.43).

E veniamo al secondo punto: il servizio disinteressato. Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: «Fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6, 35). Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, “scultore” e “pittore” del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità.

In molti passi evangelici Gesù parla di sé in questa luce. Lo fa con Filippo, nel cenacolo, poco dopo aver lavato i piedi ai Dodici, dicendogli: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9). Come pure quando istituisce l’Eucaristia, affermando: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). Ma già prima, sulla via di Gerusalemme, quando i suoi discepoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande, aveva spiegato loro che «il Figlio dell’uomo [...] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr. Mc 10, 45).

Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra. Accompagnatelo il più possibile con un sorriso, senza lamentarvi e senza cercare riconoscimenti, gli uni a sostegno degli altri, anche nei rapporti con i Vescovi e i presbiteri, «come espressione di una Chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno con la valorizzazione di tutti i gradi del ministero ordinato» (C.E.I., I Diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme, 1993, 55). Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio.

E veniamo all’ultimo punto: la gratuità come fonte di comunione. Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: «Ecco i nostri tesori!». È così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, colle parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: “per noi tu sei importante”, “ti vogliamo bene”, “ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita”. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete.

Così la vostra missione, che vi prende dalla società per immettervi nuovamente in essa e renderla sempre più un luogo accogliente e aperto a tutti, è una delle espressioni più belle di una Chiesa sinodale e “in uscita”.

Tra poco alcuni di voi, ricevendo il sacramento dell’Ordine, “discenderanno” i gradini del ministero. Volutamente dico e sottolineo che “discenderanno”, e non che “ascenderanno”, perché con l’Ordinazione non si sale, ma si scende, ci si fa piccoli, ci si abbassa e ci si spoglia. Per usare le parole di San Paolo, si abbandona, nel servizio, l’“uomo di terra”, e ci si riveste, nella carità, dell’“uomo di cielo” (cfr. 1Cor 15, 45-49).

Meditiamo tutti su quanto stiamo per fare, mentre ci affidiamo alla Vergine Maria, serva del Signore, e a San Lorenzo, vostro patrono. Ci aiutino loro a vivere ogni nostro ministero con un cuore umile e pieno di amore e ad essere, nella gratuità, apostoli di perdono, servitori disinteressati dei fratelli e costruttori di comunione.