Il Giubileo dei diaconi
Custodi del servizio

di Isabella H. de Carvalho
Custodi del servizio alla Parola di Dio, ai poveri e all’altare: così il vescovo Andrea Ripa, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ha definito i diaconi che in questi giorni celebrano il loro pellegrinaggio per l’Anno Santo 2025. A migliaia sono giunti a Roma per l’evento giubilare, il quarto dei grandi appuntamenti in calendario, dopo quello della comunicazione, svoltosi a fine gennaio e seguito, nel mese di febbraio, dal Giubileo delle Forze armate, di polizia e di sicurezza e da quello degli artisti e del mondo della cultura. Apertosi ieri pomeriggio, venerdì 21 febbraio, il pellegrinaggio dei diaconi si concluderà domani, domenica 23. Suddivisi in gruppi linguistici, nella giornata inaugurale i partecipanti hanno ascoltato le catechesi tenute in diverse chiese dell’Urbe, sul tema «Segni concreti di speranza nel ministero diaconale». Monsignor Ripa, che ha animato quella svoltasi nella basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, intervistato dai media vaticani spiega come i diaconi, vivendo non solo in ambienti ecclesiastici, possano portare la speranza del Vangelo in modo particolare a coloro che sono lontani dalla Chiesa.
Come pensa che i diaconi possano essere un segno concreto di speranza nel mondo di oggi?
Il diaconato è un ministero molto antico, ce ne parlano già gli Atti degli Apostoli. È un ministero che nel corso della storia ha avuto momenti di grande diffusione, ma anche momenti di lunga eclisse. È stato ripreso con il Concilio Vaticano ii, ed oggi lo stiamo vivendo e sviluppando. Penso che possa essere un segno di speranza perché è un ministero che nasce per l’evangelizzazione, quindi per l’annuncio e per la testimonianza. Non c’è nulla di più bello proprio del popolo Dio che porta un annuncio di speranza e per noi la speranza è Cristo. Penso che il ministero diaconale vada ad arricchire quello che è “l’arsenale ministeriale” della Chiesa. Non con un doppione o una sostituzione del ministero dei presbiteri, ma con un’aggiunta, che è quella di un ministero nuovo. Esso corrisponde a una vocazione, cioè a quella dei diaconi, fatti per annunciare, fatti per il primo annuncio. Questo penso che sia il segno bello della speranza.
In che modo i diaconi possono essere una testimonianza e allo stesso tempo evangelizzare anche coloro che sono lontani dalla Chiesa?
I diaconi in questo senso hanno una bella responsabilità. Il diacono Filippo, dagli Atti degli Apostoli, ci ricorda che i diaconi nascono per annunciare il Vangelo a coloro che non lo conoscono. Teniamo presente che i diaconi permanenti, normalmente, hanno una famiglia, quindi hanno un lavoro e frequentano ambienti che non sono solo quelli ecclesiali. È proprio nei loro ambienti di vita e di lavoro, quindi, che possono fare quello che il diacono Filippo ha fatto con l’eunuco della regina Candace: annunciare il Vangelo ascoltando le sue domande e, attraverso le sue domande, arrivare a Cristo. Quindi c’è una testimonianza che passa attraverso il primo annuncio, che è una testimonianza nella propria vita familiare, perché sono padri e mariti. Le persone che hanno intorno non necessariamente sono cristiane, quindi è proprio con la loro vita, prima ancora che con quello che fanno, che possono dare una testimonianza per chi è lontano, possono dare un annuncio di fede. Noi speriamo perché crediamo in Cristo e quindi i diaconi si fanno portatori di questa nostra speranza, cioè dell’annuncio della persona viva e risorta di Cristo.
Come la Chiesa può rendere più noto nel mondo il ministero che svolgono i diaconi?
Da un certo punto di vista credo che ci sia una responsabilità che dipende dai diaconi stessi. In fondo in diverse zone del mondo, come l’Italia ad esempio, il diaconato è una realtà già abbastanza presente da tempo, quindi la testimonianza personale e familiare, insieme al servizio ecclesiale del singolo diacono, sicuramente possono essere una via perché il diaconato sia conosciuto. Dal punto di vista della Chiesa, penso che sia sempre necessario avere chiarezza sull’identità del ministero diaconale, essere precisi nell’assegnare incarichi che non siano generici, ma che facciano vedere che il diacono è un chierico al servizio di una Chiesa locale. Questo credo che possa servire — anche nella formazione, nell’affidare un ministero— a far capire quanto è utile e prezioso il ministero diaconale. Il 25 marzo 2017, nella sua visita all’arcidiocesi di Milano, Papa Francesco aveva detto che il diacono, in sintesi, è il custode del servizio nella Chiesa, un servizio che è servizio alla Pparola, servizio all’altare e servizio ai poveri. Quello che la Chiesa può fare è aiutare i diaconi a ricevere una formazione che abbia a cuore il servizio e affidare loro ministeri collegati al servizio in questa prospettiva: Parola, altare e poveri.