
dal nostro inviato
Roberto Paglialonga
«Essere a Nicea oggi è emozionante. Intanto perché abbiamo l’occasione di riguardare la nostra fede: qui si è stabilito il Credo che recitiamo tutte le domeniche nella liturgia. E poi ci troviamo nell’Anno giubilare dedicato alla speranza: una speranza che anzitutto ci è stata tramandata dai nostri primi fratelli cristiani. Essi hanno custodito la fede fin dalle origini facendola arrivare a noi». Suor Rebecca Nazzaro, direttrice dell’ufficio per la pastorale dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp) del vicariato di Roma, spiega, parlando con i media vaticani, il significato e l’importanza di celebrare oggi i 1700 anni del primo concilio ecumenico. Questo, voluto dall’imperatore Costantino nel 325 d.C., condannò l’eresia ariana e definì la divinità di Cristo e la consustanzialità tra il Padre e il Figlio, dando forma al “Simbolo della fede”. Vi parteciparono circa 300 vescovi, tra legati del Papa e rappresentanti della chiesa orientale. La religiosa ci accompagna in occasione di un viaggio organizzato da Orp, con la collaborazione dell’ufficio cultura e informazioni dell’ambasciata di Turchia, alla scoperta dei “luoghi santi” del cristianesimo disseminati sulla costa di quella che un tempo si chiamava Asia Minore.
Arriviamo a İznik, città settentrionale della penisola anatolica (nella regione dell’ex Bitinia) in un pomeriggio nel quale la pioggia ha sferzato il nostro cammino fin dalla partenza a Smirne. E dopo aver costeggiato i resti delle antiche mura urbane entriamo nella chiesa bizantina di Santa Sofia, che ospitò il secondo concilio niceano del 787 d.C, oggi moschea. Della basilica della prima assemblea conciliare infatti non rimangono ormai che poche rovine. «Va detto che oggi — prosegue suor Nazzaro — viviamo un tempo in cui c’è purtroppo poca memoria, abbiamo la tecnologia, i media, i canali social: ma la fede si trasmette anzitutto sulla base dell’esperienza dell’incontro con Cristo e dello studio dei padri e dei teologi che hanno come loro fondamento il Vangelo».
Un richiamo, questo, che emerge anche dalla bolla di indizione del Giubileo, dedicato alla speranza. Papa Francesco ha più volte espresso il desiderio di recarsi a Nicea per celebrare l’anniversario del primo concilio, ma tutto naturalmente dipenderà dalle sue condizioni di salute. «Oltre a pregare per lui, perché abbia da Dio ogni conforto in questo momento di sofferenza e di prova, lo pensiamo da qui con sentimento filiale. Il Papa è un padre che ha avuto questa intuizione di ricordare a tutto il mondo quanto sia stato importante ciò che è avvenuto a Nicea nel 325, affinché facciamo memoria della ricchezza che la Chiesa custodisce nei secoli».
La speranza, oggi, sembra però messa in discussione dalle guerre, dalle violenze, dalla fame, dai disagi dell’umanità e dalle tante disparità che affliggono ogni angolo del mondo. «E tuttavia, sottolinea ancora suor Rebecca, la speranza non delude, come dice San Paolo». E questo perché «la speranza dei cristiani non è un sentimento provvisorio, ma è fondata sulla promessa di Dio, che ci vuole con lui in Paradiso. È una promessa di salvezza: lui starà sempre con noi fino alla fine dei tempi. Per noi dunque la speranza ha un grande valore di abbandono fiducioso nelle sue mani». Ma se parliamo di speranza, trovandoci nella terra dei concili, conclude infine la religiosa, «non possiamo non pensare anche a quello di Efeso del 431 d.C., che ci presenta Maria “Madre di Dio”. Significa che in questo cammino di speranza c’è Maria che ci accompagna e ci conduce alla meta».