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Banche e finanza alimentano l’industria delle armi nucleari

Un costo economico ambientale e umano

FILE PHOTO: An unarmed Trident II D5 missile is test-launched from the Ohio-class U.S. Navy ...
19 febbraio 2025

di Valerio Palombaro

Le armi nucleari non possono coesistere con l’umanità. Il messaggio per cui si batte il premio Nobel per la pace 2024, Nihon Hidankyo, la Confederazione giapponese delle organizzazioni delle vittime della bomba atomica e delle bombe a idrogeno, viene citato all’inizio del rapporto “A quale costo” diffuso ieri dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican).

Tra il gennaio 2022 e l’agosto 2024, ben 260 tra banche, fondi pensione, compagnie assicurative e altre istituzioni della finanza hanno avuto rapporti finanziari o relativi ad investimenti con le 24 aziende che più producono armi nucleari nel mondo. Questi investitori detengono un portafogli di oltre 500 miliardi di dollari in azioni e titoli nelle 24 aziende succitate, con un aumento di quasi 40 miliardi dall’ultimo rapporto diffuso nel 2024. Nella lista dei primi dieci finanziatori, figurano ben nove gruppi statunitensi tra cui Vanguard, Capital Group e Black Rock. Sempre degli Stati Uniti i primi tre creditori in titoli ed azioni nei confronti di aziende che producono e vendono armi nucleari: Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase.

Il rapporto analizza inoltre in maniera accurata la tendenza legata alla corsa al riarmo. Nel luglio 2024 — viene evidenziato — il Pentagono ha deciso di continuare il programma di sviluppo del missile balistico intercontinentale Sentinel, nonostante il costo stimato «drammaticamente in aumento a 140,9 miliardi di dollari, ovvero l’81 per cento in più delle stime originarie». Tutti i nove Paesi dotati armi atomiche hanno continuato a modernizzare i loro arsenali, ma il rapporto si concentra in particolare su Usa, Cina, Francia, India e Regno Unito.

Mentre la Fondazione Nihon Hidankyo e gli altri sopravvissuti sono stati decisivi nel pilotare gli sforzi globali contro le armi atomiche, culminati nell’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari nel 2017, il continuo fare affidamento sulle armi nucleari come “dottrina di sicurezza” rappresenta un enorme ostacolo nell’obiettivo di assicurare che gli orrori di Hiroshima e Nagasaki non verranno mai ripetuti. Enormi spese nelle armi nucleari e in contratti multi-miliardari per le aziende del settore rappresentano una minaccia contro l’umanità. Come attori decisivi per orientare l’andamento dell’economia globale, le istituzioni finanziarie hanno una capacità unica di poter rafforzare gli sforzi per arrivare all’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari.

L’anno in corso — che segna la ricorrenza degli 80 anni dalla devastazione causata dai bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki — prevede inoltre l’importante appuntamento, a marzo a New York, tra i firmatari del Trattato delle Nazioni Unite per la messa al bando delle armi nucleari. Una posizione chiara contro le armi nucleari è sempre stata espressa dalla Santa Sede. Come denunciato dal palco dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York lo scorso settembre, dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, «l’incessante corsa agli armamenti» è fonte di rischiose tensioni a livello globale, colpevoli di aumentare «il rischio di un impiego deliberato o accidentale di armi nucleari». Per la Santa Sede, «l’unico modo» per scongiurare tale pericolo è la loro «eliminazione totale». Riprendendo un concetto più volte espresso da Papa Francesco, il segretario di Stato ha quindi ritenuto «deplorevoli» le pratiche attraverso le quali «gli Stati stanno rafforzano i loro arsenali nucleari attraverso risorse che potrebbero essere utilizzate più efficacemente per affrontare le esigenze urgenti di sviluppo».