Dove si prega

di Stefano Leszczynski
L’ultima cittadina prima di arrivare a Deir Mar Musa è al-Nabek. Qui nonostante l’apparente tranquillità, nei giorni più bui della guerra era difficile entrare senza una motivazione più che valida e senza le opportune autorizzazioni. L’ingresso del centro abitato al lato della strada principale che corre verso Damasco, presenta ancora la testimonianza dei check-point e delle fortificazioni abbandonate dopo la caduta di Assad. Vi arrivo al seguito dell’inviato del Papa, il cardinale Gugerotti, e del nunzio in Siria, il cardinale Zenari, per fare visita alla piccola comunità monastica fondata da padre Paolo Dall’Oglio, proprio nell’antico monastero di Mar Musa al-Habashi, san Mosè l’Abissino.
Con lo sguardo rivolto verso la catena montuosa dell’Antilibano, là dove svetta il monte Hermon, la piccola comunità monastica “al-Khalil di Deir Mar Mousa al-Habashi”, al tramonto si riunisce in preghiera. Nonostante l’aria fredda di fine gennaio gli olivi piantati dai monaci sono rigogliosi e ben curati, merito dei due profondi pozzi scavati a valle del monastero arroccato, invece, diverse centinaia di metri più in alto. Osservando la distesa desertica dell’altipiano a 1200 metri sul livello del mare si viene pervasi da una sensazione di pace, avvolti in un silenzio che neppure il vento sembra scalfire.
Quando chiedo a suor Carol Cooke-Eid in che modo è approdata al monastero, nella comunità fondata da padre Paolo Dall’Oglio, ride e mi risponde che non l’ha realmente scelto lei: «È stato l’appello di Dio». Suor Carol è libanese, ma ha vissuto per più di vent’anni in Germania per poi fare ritorno nella sua terra. «Ero una laica, consacrata. Non cercavo nulla e soprattutto non cercavo nulla in Siria. La guerra tra i due paesi e la lunga occupazione aveva lasciato un segno profondo su di me» — racconta la religiosa — «e invece i piani del Signore non sono i nostri piani, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e mi ha fatto capire che mi voleva qui e questo posto. Mi ha trasformata».
La comunità monastica al-Khalil di Deir Mar Musa è una comunità spirituale ecumenica mista di rito siro-cattolico composta da monaci e monache provenienti da diverse Chiese e Paesi. A fondarla è stato padre Paolo Dall’Oglio nel 1992 per promuovere il dialogo tra cristianesimo e islam. «Padre Paolo credeva fortemente nell’amicizia tra le diverse componenti della società civile siriana e lavorava per una vera fratellanza tra musulmani e cristiani — dice suor Carol —. Soprattutto voleva rappresentare l’amore di Cristo per il mondo musulmano, invitando anche i cristiani orientali che vivono da minoranza in un paese a maggioranza musulmana, invitandoli a capire la loro vocazione il senso della loro presenza qui come sale e come lievito».
Nella Siria di oggi, devastata da una guerra pluridecennale e smarrita di fronte al capovolgimento politico determinato dalla caduta di Assad, il progetto di Deir Mar Musa assume una rilevanza enorme. «Questo monastero è il simbolo di un dialogo indispensabile nella Siria di oggi — dice suor Houda Fadoul, originaria di Damasco —. Per troppo tempo, durante il periodo della guerra e a causa della guerra, l’immagine dell’Islam è stata distorta. Condividendo la nostra esperienza di dialogo e confronto, anche teologico, possiamo contribuire a una riaffermazione del rispetto reciproco». «Lo stesso padre Paolo — aggiunge suor Carol – mi diceva sempre: non credere Carol che Dio abbia dato solo a noi qualcosa per loro, ma devi stare attenta al dono che ci vuole fare attraverso di loro. Questo luogo è un posto che vuole invitare alla conoscenza reciproca alla riconciliazione, all’affetto, al lavoro comune ed è molto importante per il bene di tutti».
La vocazione dei monaci e delle monache di Mar Musa non è quella di vivere lontani dal mondo. Le storie personali di questi uomini e di queste donne, che hanno scelto la strada della preghiera e del lavoro in nome della pace sono cariche di esperienza del quotidiano tanto nei sui aspetti migliori come in quelli peggiori. Il bagaglio umano e intellettuale dei religiosi e delle religiose di Mar Musa li spinge inesorabilmente nel mondo e nel tempo presente. «Siamo sempre stati aperti all’ospitalità — sottolinea suor Houda — È un’opportunità meravigliosa poter condividere la nostra esperienza e mostrare che un’altra vita è possibile. È importante soprattutto per i giovani di questo paese che sono chiamati a ricostruire questo paese: una Siria da amare».