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L’insegnamento
della religione nelle scuole:
la crisi nelle relazioni
Stato-Chiesa in Polonia

 L’insegnamento della religione nelle scuole:  la crisi nelle relazioni Stato-Chiesa in Polonia  ...
15 febbraio 2025

di Piotr Stanisz*

Nel 1990 le lezioni di religione tornarono nelle scuole polacche dopo un periodo in cui l’istruzione scolastica era subordinata alle premesse ideologiche dello stato socialista. Per molti, questo ritorno fu un elemento necessario del processo di democratizzazione e normalizzazione non solo nei rapporti fra Stato e Chiesa, ma nella vita pubblica in genere. Nel 1991 la legge sul sistema di educazione previde per le scuole l’obbligo di organizzare l’insegnamento religioso su richiesta dei genitori o degli alunni stessi, autorizzando il Ministro dell’Educazione a emanare, «d’intesa con le autorità della Chiesa Cattolica, della Chiesa Ortodossa Autocefala Polacca e delle altre chiese e confessioni religiose», un decreto recante le norme di carattere organizzativo (intese però in modo molto ampio). Il decreto ministeriale del 1992, con poche e non essenziali modifiche, assicurava le opportune condizioni dell’istruzione religiosa (non solo cattolica) nelle scuole polacche per più di trent’anni. Nel frattempo la Costituzione del 1997 ha espressamente previsto la possibilità di insegnare la religione nelle scuole (chiudendo così le discussioni sulla conformità dell’insegnamento scolastico della religione con il principio della separazione fra lo Stato e la Chiesa), e nel Concordato del 1993 (ratificato nel 1998) la Repubblica di Polonia ha garantito che l’insegnamento della religione cattolica fosse assicurato in conformità alla volontà degli interessati.

Tuttavia, la presenza delle lezioni di religione nei programmi scolastici, e specialmente il finanziamento degli insegnanti di questa materia con fondi pubblici, da anni incontrano anche delle opposizioni. Solo nei primi anni dopo la decisione di reintrodurre l’educazione religiosa nelle scuole, per due volte la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in diverse questioni attinenti a questo insegnamento [le sentenze del 30 gennaio 1991 (K 11/90) e del 20 aprile 1993 (U 12/92)], tornando poi alla questione nel 2009 (la sentenza del 2 dicembre 2009, U 10/07). Anche gli organi di Strasburgo hanno esaminato le cause polacche attinenti (in modo più o meno espresso) alle modalità di impartire questo insegnamento per ben tre volte [la decisione della Commissione del 16 gennaio 1996 nel caso C.J., J.J. e E.J. (23380/94), la decisione della Corte del 26 giugno 2001 nel caso Saniewski (40319/98) e la sentenza della Corte del 15 giugno 2010 nel caso Grzelak (7710/02)]. Nessuna di queste pronunce ha minato la presenza dell’educazione religiosa nelle scuole polacche, nonostante esse abbiano riscontrato esigue irregolarità, influenzando il contenuto dei disposti in questione. Comunque, tutto l’impianto argomentativo sembrava duraturo e stabile.

Nel dicembre del 2023, in seguito alle elezioni parlamentari di ottobre, si è costituito in Polonia un nuovo Esecutivo di ampia coalizione guidato dal leader di Piattaforma Civica, Donald Tusk, dopo otto anni dominati da Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość) di Jarosław Kaczyński. Barbara Nowacka, leader di Iniziativa Polacca (Inicjatywa Polska), piccolo partito di sinistra dell’attuale maggioranza è stata scelta come Ministro dell’Educazione. Fra le iniziative promosse dalla Nowacka in passato vi è il progetto della legge sulla laicità dello Stato, che mirava, fra l’altro, ad abolire il finanziamento pubblico dell’insegnamento religioso, perché «privo di basi scientifiche». Fin dall’inizio del suo mandato, la Nowacka si è dedicata alla realizzazione di due idee: minimizzare la presenza della religione nella scuola e introdurre l’educazione alla salute (che comprende anche i contenuti relativi all’educazione sessuale) come nuova materia didattica obbligatoria.

Il primo decreto modificativo delle regole riguardanti l’organizzazione dell’insegnamento religioso è stato emanato dal Ministro Nowacka il 26 luglio 2024. La nuova ordinanza ha cambiato la regola finora vigente, secondo cui questo insegnamento deve essere organizzato per gruppi in classe ogniqualvolta almeno sette alunni desiderino parteciparvi. Nel caso in cui detto numero non fosse stato raggiunto, si sarebbero organizzati gruppi di alunni da diverse classi. Dal 1° settembre 2024, giorno in cui è entrato in vigore il Decreto, tali gruppi si possono formare quasi sempre; basta non superare il limite massimo di 28 alunni (25 negli asili e nelle prime tre classi delle scuole elementari) e non raggruppare allievi troppo distanti in età (nella scuola primaria possono essere raggruppati gli alunni di classi i-iii, iv-vi e vii-viii).

Il 17 gennaio 2025 il Ministro dell’Educazione ha nuovamente modificato il decreto del 1992. A partire dal 1° settembre 2025, il numero delle ore settimanali di religione sarà dimezzato (da due ore settimanali a una) e l’insegnamento — con poche eccezioni — dovrà essere collocato alla prima o all’ultima ora della giornata scolastica.

Le conseguenze di questa marginalizzazione non sono difficili da prevedere. Data la natura opzionale delle lezioni di religione, molti alunni avranno un motivo in più per non frequentarle e un gran numero di insegnanti di religione sarà in difficoltà, con il rischio di improvvisi licenziamenti (nei documenti ministeriali legati alle modifiche si parla della possibile riduzione di circa 10 mila posti di lavoro). Non sorprende che le decisioni del Ministro Nowacka abbiano suscitato forti proteste sia negli ambienti ecclesiastici sia da parte di molti genitori. Tuttavia, il conflitto si focalizza non solo sui contenuti della nuova normativa ma anche sulla modalità utilizzata per la sua stesura. Il Ministero ha offerto alle Chiese la possibilità di esprimere opinioni sui progetti di entrambi i decreti, ma nessuna intesa è stata raggiunta. Anzi, i pareri espressi al riguardo dalle rappresentanze della Conferenza Episcopale polacca e del Consiglio Ecumenico delle chiese in Polonia sono stati decisamente negativi. Dopo la pubblicazione del decreto del 26 luglio 2024, le autorità di ambedue gli organismi ecclesiali si sono rivolte alla Corte Costituzionale tramite il presidente della Corte Suprema, chiedendo l’esame di conformità delle disposizioni ministeriali con le norme di rango superiore. Nella sentenza del 27 novembre 2024 la Corte ha dichiarato il decreto incostituzionale e illegale, perché emanato senza il raggiungimento previo dell’intesa con le autorità ecclesiastiche, prevista espressamente nella legge del 1991 e confermata dalla logica delle norme costituzionali. La sentenza non è stata tuttavia pubblicata nella Gazzetta Ufficiale polacca (Dziennik Ustaw) e il governo la ignora, similmente alle altre sentenze del Tribunale, che esso considera illegittimo (ciò si iscrive nel più ampio contesto della crisi giudiziaria in Polonia). Nonostante i vari tentativi di dialogo tra i Vescovi e l’Esecutivo polacco nella ricerca di un compromesso, l’esito della vicenda conferma la grande attualità della libertà religiosa anche per l’Europa, dove purtroppo «crescono norme legali e prassi amministrative che limitano o annullano di fatto i diritti che formalmente le Costituzioni riconoscono ai singoli credenti e ai gruppi religiosi» (Francesco, Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la Presentazione degli Auguri per il Nuovo Anno, 2025). Ci deve perciò far riflettere il recente monito internazionale del Santo Padre a considerare la libertà religiosa come «un’acquisizione di civiltà politica e giuridica, poiché quando essa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli» (Ibidem).

*Professore ordinario nella Cattedra del diritto ecclesiastico, Istituto di Scienze Giuridiche, Facoltà di Diritto, Diritto Canonico e Amministrazione, Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublin in Polonia