
di Enzo Petrolino*
Dal 21 al 23 di questo mese si terrà l’incontro giubilare dei diaconi di tutto il mondo. Il motto del Giubileo è pellegrini di speranza. Motto molto bello perché fa riflettere e richiama due dimensioni essenziali dell’identità cristiana e quindi dei diaconi: l’essere pellegrini e sperare.
Cosa vuol dire essere pellegrini? significa che siamo in cammino e che non siamo soli: a farci compagnia è proprio la speranza. Un Anno Santo purtroppo che si caratterizza per la presenza nel mondo di situazioni di guerre, dai conflitti internazionali, divisione, violenza, di debolezza, di violenza contro le donne ed il massacro di bambini. Il Giubileo chiede, quindi, di mettersi in cammino e di superare alcuni confini.
Gesù privilegiava il camminare. Camminava nei villaggi, incontra la vedova, il lebbroso, i peccatori, i malati … guariva. Camminava, quindi era appassionato, era attento alle persone, instancabile, non aveva dove posare il capo, coraggioso fino alla croce. Una passione quella di Gesù che deve essere la passione e lo stile dei diaconi. Dunque il servizio del diacono si traduce in un cammino nella storia e nella vita della gente. Basti pensare all’episodio del diacono Filippo che evangelizza per strada.
Una cammino che si radica nella speranza che opera, qui e ora, che apre possibilità nuove nella vita e chiama i diaconi a fare delle scelte concrete nel tessuto quotidiano. I semi del futuro, dunque, si trovano già nel “presente” della nostra relazione con Dio e con i fratelli.
Una speranza che non significa una vita nelle nuvole e ripiegata soltanto nel “sogno” inerte, di un mondo migliore sradicata dalle ansie, dalle attese e delle sfide della storia.
Dunque, in che modo il diacono traduce in atti concreti il mandato profetico ricevuto? Il riferimento è a una diaconia che sia “profetica”. Papa Francesco individua nella mancanza di profezia un pericolo nella trappola della mondanità (Eg 97). Una missione profetica che si costruisce progressivamente con i compagni di viaggio con i quali scegliere gli itinerari da percorrere, i luoghi da abitare. Un cambiamento per fare nostra l’esperienza di quella parte di umanità che, per vari motivi, è costretta a mettersi in viaggio per cercare un mondo migliore per sé e per la propria famiglia. Questo significa cercare di tenere desta la diaconia della speranza, vivendo oggi una solidarietà rinnovata e una diaconia profonda con un’umanità che sembra aver smarrito le sue radici in Dio.
Quale dunque la forza della chiamata diaconale, quale diaconia? Si tratta di lasciarsi gettare dentro la realtà concreta come semi nella terra buona, per porre, qui e ora, nonostante i rischi dello stare nella società, i segni di un altro avvenire, ed essere davvero i semi di un mondo rinnovato.
Ma i diaconi sono seminatori di speranza? In che modo l’incontro con le diverse forme di diaconia costituisce luogo di speranza e di testimonianza dei diaconi? Quale occasione di condivisione, di dialogo e di confronto costituisce il servizio del diacono? Come collegare identità del diacono e servizio dei poveri, dei profughi, del creato e della pace?
Bisogna disarmare il conflitto. Nella sua accezione ebraico-cristiana, la pace è azione. Proprio per questo se è azione la si trova nel cuore della celebrazione liturgica, dove il diacono annuncia la pace. Questo è un compito non deponibile per i diaconi. «Non c’è pace senza la cultura della cura» scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace di quest’anno. E i diaconi devono essere formati ad essere artigiani di pace.
Dunque il Giubileo deve aiutare a ravvivare l’essere diaconi ministri della speranza attraverso una duplice modalità: con l’annuncio della libera e gratuita iniziativa di Dio e con il segno concreto di una gioiosa fraternità offerta agli uomini, in modo da andare incontro con l’animo sereno e non con l’angoscia di chi non sa che cosa aspettarsi dal futuro.
Penso che sia proprio questa l’ora dei diaconi che devono amministrare e testimoniare bene il servizio della speranza. E il testimone è una sorta di narratore della speranza... I diaconi devono essere narratori della speranza, nuovi discepoli di Emmaus in questo tempo assetato di nuovo annuncio e di vera liberazione. Essere testimoni di speranza significa che la speranza cristiana non si spiega e non si dimostra, ma si racconta e si esercita.
*Presidente Comunità del diaconato in Italia