
di Roberto Paglialonga
L’auspicio è ora che dalle parole si passi velocemente ai fatti. La pace non può più attendere, dopo tre anni di guerra. Il punto è, semmai, capire “quale” pace sarà possibile raggiungere tra Ucraina e Russia. Il dato, senz’altro significativo e che in qualche modo cambia le prospettive maturate finora, è la lunga telefonata che ieri il presidente degli Usa, Donald Trump, ha avuto con l’omologo russo, Vladimir Putin, cui è seguita quella con il capo di Stato ucraino, Volodymyr Zelensky. Una conversazione di circa un’ora e mezza quella tra Washington e Mosca — fanno sapere dal Cremlino — nella quale è stato deciso di «far iniziare immediatamente i negoziati», ribadendo la convinzione di Trump che «avranno successo». Opinione condivisa da Putin, secondo il quale sarebbe ora possibile trovare una «soluzione a lungo termine» al conflitto.
La prima cosa a colpire è la tempistica della telefonata, che ha preceduto quella con Kyiv: una mossa che ha preso in contropiede Zelensky, che aveva chiesto di essere preventivamente ascoltato, e gli stessi alleati europei. Trump e il leader ucraino si erano già sentiti a inizio novembre, ma in quell’occasione il presidente ucraino era stato rassicurato sulla prosecuzione del sostegno da parte di Washington, sebbene non si fosse scesi in dettagli specifici. Stavolta, le carte messe sul tavolo da Trump paiono essere decisamente diverse, a cominciare proprio dai tempi e dai modi con i quali sono state distribuite: il presidente americano ha di fatto rovesciato l’assioma dell’amministrazione Biden secondo cui con Mosca non si tratta, anzi lo si fa con anticipo rispetto all’“alleato” difeso fortemente finora, sedendosi per primo al tavolo negoziale, per ora solo virtuale, in attesa di vedere chi altro intenda prendervi posto e aprendo uno spiaraglio per la pace. «Anche Zelensky, come il presidente Putin, vuole fare la pace», ha dichiarato Trump, a cui Zelesky ha risposto che «nessuno la desidera più dell’Ucraina», e che questa deve poter «fermare l’aggressione russa» ed essere «duratura e affidabile». Affermazione che nasconde amarezza per l’evolversi della situazione, dopo che per mesi da Kyiv si era ripetuto il «no a trattative per l’Ucraina senza l’Ucraina». Una linea, questa, ribadita stamane dal ministro degli Esteri, Andrii Sybiha, a «Le Monde».
Trump poi si è detto anche pronto a incontrare Putin in Arabia Saudita; mentre Putin ha invitato il leader statunitense a Mosca. Dalla Casa Bianca hanno già fatto sapere chi saranno i componenti del team negoziale incaricato di trattare: il segretario di Stato, Marco Rubio, il direttore della Cia, John Ratcliffe, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Waltz, e l’inviato speciale, Steve Witkoff, che finora si è occupato di Medio Oriente. Proprio Witkoff è arrivato a sorpresa a Mosca due giorni fa per riportare a casa Mark Fogel, l’insegnante americano detenuto dal 2021 in Russia, in cambio del quale le autorità Usa hanno annunciato la liberazione del cittadino russo, Alexander Vinnik, arrestato in Grecia ed estradato negli Usa nel 2022 con pesanti accuse di riciclaggio. Ma secondo indiscrezioni riportate da Fox News, nell’occasione Witkoff avrebbe incontrato per quasi quattro ore Putin.
In secondo luogo, i termini dell’accordo che Trump ha dettato paiono fortemente penalizzanti agli occhi di Kyiv: gli ucraini devono rinunciare ad entrare nella Nato e a riconquistare i territori in loro possesso fino al 2014, ha chiarito il capo del Pentagono, Pete Hegseth, aggiungendo che nei confronti dell’Ucraina «non» si sta consumando «alcun tradimento», anche perché nessun Paese «ha assunto un impegno più grande di quello degli Usa, pari a 300 miliardi di dollari». Inoltre, gli Usa esigono un accesso privilegiato alle terre rare ucraine, molte delle quali si trovano nel Donbass occupato dai russi, in cambio degli aiuti. Le due parti potrebbero discuterne alla conferenza sulla sicurezza che si aprirà a Monaco venerdì.
Trump ha indiscutibilmente mosso le acque. Chi sembra fuori dai giochi, in questa fase, è invece l’Europa, mentre una garanzia di sicurezza verso Kyiv dovrebbe essere uno dei capisaldi da parte dell’Ue. Il cancellierre tedesco, Olaf Scholz, ha dichiarato che «nessun accordo può essere discusso sull’Ucraina senza l’Ucraina, o sull’Europa senza l’Europa», e l’Alto commissario per la Politica estera, Kaja Kallas, ha sottolineato che «l’Europa deve potersi sedere a quel tavolo, non c’è intesa possibile senza di noi». Dichiarazioni che, tuttavia, paiono fragili ed evidenziano più che altro una rivendicazione di spazio in un’ottica multilaterale di fronte a un alleato che si muove con la logica one-to-one tipica del business.