
La ricorrenza dell’anniversario della firma dei Patti Lateranensi offre, al di là dell’occasione celebrativa, l’opportunità di qualche pur sommaria riflessione sul significato del Trattato e del Concordato, e sul fondamento del perdurante rilievo che essi hanno nella vita della Chiesa e nel contesto sociale e istituzionale dell’Italia, oltre che in una più ampia prospettiva internazionale.
Nel 1929 la Conciliazione, termine con il quale viene abitualmente designato quell’evento, segnò il superamento della cosiddetta Questione romana, sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Una crisi nelle relazioni con la Chiesa alla quale lo Stato cercò di porre rimedio pochi mesi dopo, con la Legge delle guarentigie, volta ad attribuire al Sommo Pontefice, persona considerata «sacra ed inviolabile», prerogative che garantissero il libero svolgimento «di tutte le funzioni del suo ministero spirituale». Si trattò di una soluzione unilaterale, come ebbe a sottolineare il Consiglio di Stato in un parere del 1878, che pur attribuiva a questa legge la più elevata collocazione tra le fonti del diritto interno, qualificandola come “legge fondamentale della monarchia”, assimilata allo Statuto.
L’impostazione dei Patti Lateranensi è del tutto diversa, basata su una disciplina pattizia, i cui contenuti sono liberamente convenuti tra le Parti contraenti e che si impone a entrambe come vincolo esterno ai rispettivi ordinamenti. Da una disciplina di diritto interno, sia pure di straordinario rilievo nell’assetto delle fonti normative nazionali, si passa nell’ambito dell’ordinamento esterno, che vincola le Parti contraenti, con le garanzie proprie del diritto internazionale che ne derivano.
Il Trattato muove dalla considerazione che «la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio tra loro esistente», assicurando alla Santa Sede una condizione che «Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo». La riconosciuta «esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana» sulla Città del Vaticano, in un ambito territoriale largamente corrispondente a quello previsto in godimento del Sommo Pontefice dalla Legge delle guarentigie, assolve la funzione di «assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza» e di «garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Sovranità che l’Italia ha riconosciuto come attributo inerente alla natura della Santa Sede «in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo». Questa condizione della sovranità propria della Santa Sede, riconosciuta anche in ambito internazionale, non la rende parte nelle competizioni temporali ma partecipe della vita e delle relazioni internazionali con l’autorevolezza della sua «potestà morale e spirituale».
Del resto lo Stato della Città del Vaticano, indicato con questa completa espressione nello stesso Trattato, proprio in ragione di tale caratteristica, è considerato «territorio neutrale e inviolabile». Né mancano altri elementi che tradizionalmente sono espressione di norme del diritto internazionale e che presuppongono il riconoscimento della sovranità. In questo ambito, ad esempio, le relazioni diplomatiche, che hanno avuto nel tempo uno straordinario sviluppo, e il trattamento dovuto ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede; come pure il riconoscimento della giurisdizione e l’esecuzione in Italia delle sentenze emanate dai tribunali della Città del Vaticano in applicazione delle norme di diritto internazionale.
Il Concordato, quasi in simmetria con il Titolo ii della Legge delle guarentigie dedicato alle “Relazioni dello Stato con la Chiesa”, ha disciplinato ancora una volta bilateralmente, come «necessario complemento» del Trattato, le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia. L’impostazione formalmente confessionista non ha evitato conflitti con il regime ideocratico e autoritario con il quale quell’accordo era stato concluso. Gli attriti si sono immediatamente manifestati in particolare nell’ambito dell’educazione e delle organizzazioni dei giovani, rivendicate pressoché in esclusiva dal regime. Tuttavia il Concordato ha consentito alla Chiesa di preservare un pur ristretto spazio di libertà e il permanere di associazioni cattoliche. Queste sono state anche ambiente di formazione culturale sulle cui basi si sarebbero espresse linee fondamentali per la costruzione delle istituzioni democratiche e per l’assunzione in esse di un impegno politico da parte di molti giovani.
I Patti Lateranensi e l’ambito di garanzie e immunità che essi hanno previsto per la Santa Sede — non solamente nell’esiguo, eppure rilevante, territorio della Città del Vaticano — consentirono, in momenti drammatici della vita nazionale, di dare ogni possibile aiuto a quanti ne avessero avuto bisogno e rifugio a perseguitati, quale che fosse la religione professata o le condizioni e convinzioni personali. Dopo la catastrofe della guerra, con il profondo mutamento del quadro istituzionale che ne è seguito, la Costituzione repubblicana ha riconosciuto tra i principi fondamentali, nell’articolo 7, i Patti Lateranensi quale strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica. Non si tratta di un omaggio al passato, dal quale anzi ci si distacca, bensì è la conseguenza dell’indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa ciascuno nel proprio ordine, che la stessa disposizione costituzionale riconosce, e dell’inerente bilateralità nella disciplina dei reciproci rapporti.
Alla conservazione e al rafforzamento costituzionale di quei Patti la Costituzione unisce l’apertura alle innovazioni, mediante modificazioni accettate dalle due Parti, nel rispetto del principio di bilateralità, che è da considerare necessario corollario della distinzione e della complementarietà dei loro ordini e delle rispettive competenze. Questo percorso è appunto quello segnato con le innovazioni disposte mediante l’Accordo del 18 febbraio 1984 che ha consensualmente e largamente modificato il Concordato, con la finalità di adeguarlo ai principi della Costituzione e alle dichiarazioni del Concilio ecumenico Vaticano ii sulla libertà religiosa e sui rapporti tra Chiesa e comunità politica. Accordo integrato e completato dal Protocollo sottoscritto il 15 novembre 1984 che con un contenuto fortemente innovativo ha statuito una disciplina organica degli enti e beni ecclesiastici e delle risorse finanziarie destinate alla Chiesa, superando il tradizionale sistema dei benefici ecclesiastici e disponendo la ripartizione tra gestione statale e gestione ecclesiastica di un fondo costituito dall’otto per mille del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, destinato in proporzione alle scelte espresse dai contribuenti. La revisione del Concordato ha aperto una nuova fase nella collaborazione tra Chiesa e Stato, «per la promozione dell’uomo e il bene del Paese», facendo emergere anche il ruolo della Conferenza Episcopale Italiana e l’estensione nell’applicazione del principio di bilateralità anche ad accordi tra questa e le competenti autorità statali.
In definitiva può ben dirsi che i Patti Lateranensi, al di là delle vicende storiche che nel tempo ne hanno segnato l’incubazione, la nascita e l’applicazione nelle diverse circostanze, non sono effetto di una casualità della storia, bensì esprimono contenuti essenziali che caratterizzano il senso profondo dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’Italia.