Intaccare l’indifferenza

La tratta di esseri umani è come un meccanismo perverso che cattura e stritola le persone «ma tanti granelli di sabbia possono fare in modo che i suoi ingranaggi si inceppino»: questa xi Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone è una chiamata all’azione globale (vita consacrata femminile) nella diocesi di Roma, spiegando l’importanza della settimana di preghiera e sensibilizzazione che ha preceduto l’odierna iniziativa voluta da Papa Francesco nel 2015.
Secondo le Nazioni Unite, si stima che 50 milioni di persone siano vittime della tratta a livello globale. Coloro che ne soffrono maggiormente le conseguenze sono donne, bambini, migranti e rifugiati. Una vittima su tre è un bambino, mentre il 79 per cento delle vittime dello sfruttamento sessuale a livello globale sono donne e ragazze. Guerre, conflitti, violenze, povertà, catastrofi ambientali in tutto il mondo portano le persone ad abbandonare le proprie case, rendendole particolarmente vulnerabili alla tratta e allo sfruttamento perché spesso si fa ricorso a trafficanti o al mercato nero per spostarsi da un paese all’altro. A ciò si aggiunge un’ulteriore forma di tratta che è lo sfruttamento online.
«Intaccare l’indifferenza che rende invisibili le diverse forme della tratta è una priorità», spiega suor Maria Rosa Venturelli, che con altre ventidue consorelle e laici coordina a Roma la rete dell’Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia): «È importante agire un po’ a tutti i livelli: sociale, economico, anche ecclesiale, direi. Il fenomeno della tratta fa paura — nota la missionaria comboniana — e spesso si è tentati di distogliere lo sguardo, di non immischiarsi».
La condizione di schiavitù che caratterizza tutte le forme della tratta è «dominata dalla coscienza del male», spiega la religiosa, «è una realtà molto dura» da affrontare e i rischi per l’incolumità delle vittime e di chi tenta di opporvisi sono reali. «Mi ricordo di una giovane ragazza nigeriana che abbiamo trovato morta sul ciglio di una strada, uccisa perché non serviva più, gettata via come un oggetto inutile. Ci sono voluti due mesi per identificarla e poterla seppellire. Si chiamava Issi».
Gli sfruttatori conoscono una sola strategia, quella del terrore: «È in questo modo che annullano la volontà di resistenza di una persona che non è più capace di dire “basta” alla vita di strada, perché nella paura è difficile fare scelte positive. La legge non sempre aiuta ad affrontare queste situazioni, anche perché richiede sempre che vi sia una denuncia da parte della vittima e non tutte le persone implicate in questo commercio hanno il coraggio di farlo. È troppa la paura della violenza che rischiano di subire se dopo essere fuggite vengono riprese dagli sfruttatori».
Ma ci sono anche tante storie di riscatto e di speranza che dimostrano come liberarsi dai propri sfruttatori sia possibile, a volte soltanto prendendo coscienza che esiste un altro modo di vivere: «C’è stata una ragazza salvadoregna — ricorda ancora suor Maria Rosa — che paradossalmente ha trovato il modo di fuggire dai suoi schiavisti grazie al fatto di essere stata arrestata e detenuta per due mesi nel Cie di Ponte Galeria. Fin da piccola aveva vissuto in un contesto di degrado, segnato da continue violenze, e aveva finito per credere che non ci fosse altra vita per lei».
Spesso è una via di resurrezione quella che le ragazze o le donne sopravvissute alla tratta riescono a sperimentare. Nel loro cammino di rinascita, conclude, «si dimostrano eccezionali, con una grande volontà e determinazione, e possono fare grandi cose. L’importante è non giudicare mai, ma essere di sostegno, versando ogni giorno una goccia di umanità sulle sorelle e fratelli più vulnerabili». (stefano leszczynski)