· Città del Vaticano ·

Le mutilazioni genitali colpiscono oltre 200 milioni di donne. L’impegno di Amref per eliminarle

L’importanza di essere
veri motori di cambiamento

 L’importanza di essere  veri motori di cambiamento  QUO-030
06 febbraio 2025

di Giada Aquilino

Dare voce ai giovani perché abbiano la possibilità di «farsi ponte» tra comunità e persone per essere «motore di cambiamento», affinché oggi sia possibile “Accelerare il passo” verso l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili. È l’appello lanciato da Amref Health Africa – Italia nel fare proprio il tema scelto dall’Onu per l’odierna Giornata mondiale della “tolleranza zero” contro tali pratiche, riconosciute a livello internazionale come una violazione dei diritti umani, della salute e dell’integrità delle bambine, delle ragazze e delle donne. Lo sottolinea in una conversazione con i media vaticani Laura Gentile, referente sul tema della onlus nata a Nairobi nel 1957, ricordando come «storicamente le mutilazioni genitali femminili siano particolarmente diffuse nei Paesi africani, in particolar modo del Corno d’Africa». In realtà, aggiunge, «è un fenomeno che possiamo rilevare a livello globale, per cui non parliamo più soltanto di Paesi quali ad esempio la Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea ma anche di nazioni del Nord Africa, come l’Egitto, o del Medio Oriente, come l’Iraq, o ancora più a Est, come l’Indonesia». Con le migrazioni, fa inoltre notare, sono interessati «pure i Paesi europei, poiché sono molte le donne provenienti da realtà in cui la pratica ancora persiste»: le cifre per il Vecchio Continente rivelano che sono 600.000 le donne e le ragazze che l’hanno subita, 180.000 sono a rischio ogni anno.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel suo messaggio per la Giornata 2025, esorta a unire «le forze» per una completa eliminazione delle mutilazioni genitali femminili entro il 2030. Secondo l’Onu, nel mondo oltre 200 milioni di ragazze e donne oggi in vita sono state oggetto di procedure che hanno comportato la rimozione parziale o totale dei genitali esterni e quest’anno quasi 4,4 milioni di ragazze rimangono a rischio, per una stima di 12.000 casi al giorno. Una pratica che, come sottolineato anche da Papa Francesco, «umilia la dignità della donna e attenta gravemente alla sua integrità fisica».

«Alcune comunità — riporta la rappresentante di Amref Italia — ritengono che tali mutilazioni possano invece garantire la salute della donna, anche durante il parto: sappiamo però che espongono a maggiori rischi durante il travaglio e il parto stesso, qualora la donna non venga assistita prima in modo adeguato. Oppure si pensa di garantire la “purezza” della donna, ai fini di migliori prospettive matrimoniali. In altri casi ancora si considera erroneamente che ci sia una prescrizione religiosa al riguardo, ma in realtà non è così. Ci sono poi casi in cui la pratica può essere vista come un riconoscimento di un momento di passaggio della vita, da bambina a donna, e ciò spesso avviene anche in età molto precoce, con l’implicazione poi di matrimoni forzati, gravidanze precoci, abbandono degli studi».

I rischi, da un punto di vista della salute fisica e mentale, rimangono altissimi. «L’Organizzazione mondiale della sanità — ricorda Gentile — classifica le mutilazioni genitali femminili secondo quattro categorie, ad esempio il tipo tre è quella dell’infibulazione. Le condizioni in cui la pratica viene effettuata possono portare a emorragie e infezioni, anche da Hiv, e in alcuni casi addirittura alla morte», oltre che a shock e traumi psicologici.

Da anni Amref promuove iniziative di sensibilizzazione con progetti di educazione, assistenza sanitaria e psicologica, percorsi di empowerment per le vittime. «Oggi l’ambasciatrice principale di Amref sulla prevenzione e il contrasto delle mutilazioni genitali femminili è Nice Leng’ete, un’attivista kenyana che da bambina è riuscita a evitare di essere sottoposta a questa pratica e che gradualmente è stata capace di attivare un dialogo all’interno delle comunità con altre donne, ma anche con uomini e anziani, creando spazi di educazione e di informazione per una maggiore consapevolezza sulle conseguenze. C’è poi Cynthia Oningoi, altra giovane kenyana che sta promuovendo all’interno della comunità in cui vive programmi di educazione che possano garantire alle bambine e alle ragazze la possibilità di scegliere ciò che desiderano nella vita».

Dal 2023 Amref porta inoltre avanti, assieme ad altre realtà internazionali, il progetto Y-Act, Youth in Action, di cui Laura Gentile è coordinatrice. L’iniziativa, cofinanziata dall’Ue, ha dato vita tra l’altro a “Intere: una rivoluzione senza cicatrici”, un vodcast «per rompere il silenzio» sulle mutilazioni genitali femminili. Con Y-Act, che in queste ore viene portato anche presso il Parlamento europeo, «quello che abbiamo fatto è stato andare a individuare e formare giovani con
background migratorio che vivono in Italia, a Roma, Milano, Torino e Padova, perché potessero diventare loro stessi dei ponti con le loro comunità, somala, sudanese, egiziana, nigeriana. Ognuno di loro ha realizzato azioni di sensibilizzazione su questa tematica nei territori e all’interno dei luoghi di aggregazione in cui vivono».


L’analisi del fenomeno in uno studio dell’Istituto superiore di sanità

Una piaga che colpisce oltre 80.000 donne in Italia


Roma, 6.  Sono  80.000 in Italia le donne che hanno subito mutilazioni genitali. In alcuni casi sono le minorenni a subire questa pratica; mentre la maggior parte degli operatori sanitari italiani, il 60 per cento, considera inadeguata la propria formazione sul tema e cade in errori e luoghi comuni. È quanto emerge da uno studio, presentato in settimana durante un evento organizzato dall’Istituto superiore di sanità e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, in vista della Giornata mondiale di “tolleranza zero” contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf), oggi 6 febbraio. «Questa pratica — ha affermato il presidente dell'Iss Rocco Bellantone — è purtroppo una realtà che ci riguarda anche da vicino. Le mutilazioni genitali non sono solo una grave violazione dei diritti umani, ma anche un problema sanitario che richiede il nostro massimo impegno». Secondo Walter Malorni, direttore scientifico del Centro di ricerca in Salute globale della Università Cattolica, bisogna andare verso la costruzione di «una rete nazionale che non solo diffonda consapevolezza, ma offra soluzioni concrete per la prevenzione e il trattamento delle conseguenze delle mutilazioni genitali femminili e che possa agire su tutto il territorio nazionale con la collaborazione della medicina territoriale e della Croce Rossa».

L’indagine pilota nazionale —  condotta dal Centro di ricerca in Salute globale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istituto Nazionale e la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà —  ha coinvolto oltre 300 medici, in particolare ginecologi, ostetriche e pediatri, contattati attraverso survey online, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Reports on Global Health Research. Oltre il 60% degli operatori che hanno risposto considera inadeguata la propria formazione sul tema delle Mgf. Inoltre, circa il 70% non dispone di informazioni sufficienti per indirizzare le pazienti verso strutture specializzate. Più del 50% degli intervistati, inoltre, indica le questioni religiose come un fattore chiave che spinge verso la pratica delle mutilazioni, mentre invece, sottolineano gli autori, nessuna fede religiosa né islamica né cristiana (copta) richiede questo intervento. A partire anche da questi risultati sono in previsione dei percorsi di formazione specifici sulla medicina interculturale destinati agli operatori sanitari, con una parte dedicata alle Mgf, allo scopo di far loro riconoscere i segni delle mutilazioni e di far conoscere i percorsi dedicati verso cui indirizzare le pazienti.

Per prevenire e contrastare le mutilazioni genitali femminili, l’Italia dispone di strumenti contenuti nella legge 7 del 2006 e nel Piano strategico nazionale sulla violenza contro le donne. Ogni anno vengono stanziati fondi al Dipartimento Pari opportunità, al ministero della Salute e al ministero dell’Interno per interventi specifici. Tuttavia, denuncia l’organizzazione non governativa internazionale ActionAid, «l’assenza di dati pubblici sull’impatto di queste risorse rende difficile valutare l’efficacia degli interventi realizzati», mentre l’esperienza quotidiana degli enti che lavorano con le donne portatrici o a rischio di Mgf dimostra la necessità di misure più incisive di sostegno e prevenzione.