
di Rosario Capomasi
Negli occhi della gente di Vinnytsia, città ucraina nella regione storica della Podolia, è ben visibile tutta la sofferenza causata da quasi tre anni di guerra. Sono quelli del piccolo Roman, gravemente ustionato due anni fa da un’esplosione, che l’altroieri, nell’abbraccio con Papa Francesco durante il Summit mondiale sui diritti dei bambini, ha comunque liberato sul suo volto un sorriso di speranza. E sono gli occhi di Zinovy Svereda, rappresentante del Centro “Il cammino di san Giacomo”, giunto stamane in Aula Paolo vi all’udienza generale del mercoledì per lanciare il suo auspicio di pace. L’iniziativa — racconta — è nata «con l’intento di promuovere la cultura spirituale, i valori cristiani e l’importanza del pellegrinaggio». E proprio in merito a quest’ultimo aspetto Svereda spiega come a Vinnytsia sia stato tracciato un percorso dove far passare il noto “Cammino di Santiago de Compostela”: «L’augurio — conclude — è che una volta terminato il conflitto, il nuovo tratto possa estendersi fino a comprendere la maggior parte dell’Ucraina».
Dal dolore alla speranza è passata Iman, 30 anni, musulmana curda ora accolta in Italia, che questa mattina ha voluto a tutti i costi essere presente in Aula, con i suoi quattro figli, per ringraziare ancora una volta chi le ha cambiato la vita: Papa Francesco. «Nel 2018 siamo fuggiti dal Kurdistan iracheno — dice — per approdare a Cipro, dove siamo rimasti in un campo profughi per tre anni». Nel dicembre 2021, l’incontro con il Pontefice in visita nell’isola del Mediterraneo durante il viaggio che ha toccato anche la Grecia. «Gli raccontai la mia storia e lui mi rassicurò dicendomi: “Prego per te, il mio aiuto non ti mancherà”». E così, grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio, la donna è rinata a nuova vita a Roma, dove ha iniziato quegli studi che le sono stati impediti da bambina. «Quest’anno ho l’esame di licenza media e il prossimo mi iscriverò al liceo linguistico per imparare a comunicare con persone di tutto il mondo».
Sessanta studenti e professori, di religione cattolica, ebraica e musulmana, provenienti da Israele, Palestina e Stati Uniti d’America, che hanno partecipato in questi giorni al convegno “Il senso ci incontra”, iniziativa di dialogo interreligioso organizzata da Scholas Occurrentes in collaborazione con Università ebraica di Geruslamme e Università di Notre-Dame, al termine dell’udienza hanno consegnato al Papa una lettera con le conclusioni dei lavori da loro firmata. In essa, osserva il presidente di Scholas, José María del Corral, «è sottolineata l’importanza del confronto tra le diverse culture e confessioni per crescere reciprocamente».
Quella strada del dialogo tra differenti fedi che ha percorso la delegazione di studenti e professori di nazionalità albanese, provenienti dalle università di Tirana, Roma e Perugia, in occasione del decimo anniversario della visita di Papa Francesco nel Paese delle aquile. Ad accompagnarli, tra gli altri l’ambasciatore presso la Santa Sede, Majlinda Frangaj. «In Albania — precisa — convivono pacificamente» i seguaci delle tre grandi religioni monoteistiche «dai quali è particolarmente sentito l’impegno a cooperare per la costruzione di uno Stato giusto, dove trionfi il rispetto per la dignità umana».