L’eredità per l’Africa

di Giulio Albanese
Il 7 febbraio del 1986 si spegneva a Dakar, in Senegal, un autentico genio africano di cui è nostro dovere fare memoria. Presso l’Institut Fondamental d’Afrique Noire (Ifan), creato nel 1936, in piena epoca coloniale, esiste un laboratorio per la datazione al carbonio 14, il primo realizzato in Africa. Il padre di questa meraviglia tecnologica fu proprio lui, Cheikh Anta Diop, lo stesso personaggio che tradusse in lingua wolof una buona parte della teoria della relatività di Albert Einstein. È impossibile dubitare dell’anima poliedrica e della mente interdisciplinare dell’insigne senegalese, che fu fisico e chimico e al contempo linguista, storico e antropologo. Pare che, quando venne alla luce, il 29 dicembre del 1923 nel villaggio di Thieytou, a pochi chilometri da Touba, la città santa del Senegal, un marabutto (guida spirituale del posto) sussurrò alla madre che era sorta sull’orizzonte una stella che avrebbe illuminato e dato lustro alla sua terra. E non si sbagliò affatto. La sua famiglia, appartenente all’aristocrazia del gruppo etnico wolof, gli consentì di studiare prima in una scuola coranica, per poi proseguire l’apprendimento nelle scuole coloniali francesi di Saint Louis e Dakar conseguendo, ben due baccalaureati (in matematica e filosofia).
Nel 1946, all’età di 23 anni, si trasferì a Parigi con l’intento dichiarato di iscriversi alle facoltà di Matematica superiore e di Lettere della Sorbona. Nel 1951, all’età di 28 anni, presentò alla prestigiosa università parigina, la sua tesi di laurea, dal titolo: “Dall’antichità negra egiziana ai problemi culturali dell’Africa nera oggi”, nella quale affermava che la civiltà egiziana era espressione di una cultura nera. La tesi fu respinta, ufficialmente perché la commissione d’esame non riusciva mai a riunirsi. Ma il vero motivo era di tutt’altro tenore: il mondo accademico dell’epoca non era disposto ad accettare una verità così scottante proferita da un “colonizzato”. Verità che metteva in discussione tutta la letteratura storiografica prodotta fino allora sull’Africa e sugli antichi egizi: da Voltaire a Hume, da Hegel a Gobineau, per non parlare dell’Institut Français d’Ethnologie, creato nel 1925 da Lucien Lévy-Bruhl, al cui interno ci si sforzava di legittimare l’inferiorità intellettuale, morale e filosofica dei popoli afro.
La tesi venne dunque respinta, ma nei nove anni successivi, Diop rielaborò la sua teoria, aggiungendo nuove ipotesi e nuove prove. Nel 1960 riuscì finalmente nel suo intento e la tesi fu accettata. Nel complesso, nel corso dei suoi studi universitari ottenne cinque PhD (dottorati). Si specializzò addirittura in fisica nucleare presso il Laboratoire de chimie nucléaire du Collège de France e collaborò con il premio Nobel per la chimica, Jean Frédéric Joliot-Curie. Fin dall’inizio, Diop orientò i suoi studi nei vari campi del sapere alla riabilitazione della antica cultura africana soffocata dal colonialismo europeo. Quando il Senegal divenne uno dei primi paesi a dichiarare l’indipendenza dall’impero francese nel 1960, Diop tornò in patria e dedicò i decenni successivi all’insegnamento, alla ricerca e alla politica. All’Università di Dakar (ora Université Cheikh Anta Diop) fu messo a capo di un laboratorio nel quale era possibile utilizzare il metodo del radiocarbonio. Qui mise a punto una tecnica, il “dosage test” per determinare direttamente il colore di pelle e l’affiliazione etnica degli antichi egizi. In sostanza riuscì a calcolare la quantità di melanina contenuta nelle mummie. Questo metodo fu in seguito utilizzato nel campo forense per determinare l’etnia dei corpi carbonizzati.
Negli anni Settanta, Cheikh Anta Diop fece parte del comitato scientifico che diresse, nell’ambito dell’Unesco, la pubblicazione della “General History of Africa”. Nel contesto dei lavori di stesura di quest’opera, Cheikh Anta Diop partecipò nel 1974 ad un convegno sotto l’egida dell’Unesco al Cairo, dove presentò le sue teorie ad altri specialisti in egittologia. Il documento finale del convegno menzionò l’intesa degli specialisti — ad eccezione di uno di loro — sulle prove fornite da Cheikh Anta Diop, ma anche da un altro insigne studioso, Théophile Obenga, sul tema della filiazione tra l’antica cultura egiziana e le culture africane. Emblematici furono i commenti di due dei partecipanti.
Il professor Jean Vercoutter, egittologo francese di fama mondiale, affermò che era evidente che «l’antico Egitto era africano nella sua scrittura, nella sua cultura e nel suo modo di pensare». Il professor Jean Leclant, anch’egli insigne studioso della materia, si espresse favorevolmente riconoscendo il carattere africano nel temperamento e nel modo di pensare degli egiziani. La comunità scientifica restò tuttavia divisa sulla natura della popolazione dell’antico Egitto: composta prevalentemente da neri fino alla perdita dell’indipendenza per alcuni, mista secondo altri esperti. A seguito del convegno del Cairo, a Cheikh Anta Diop fu affidato il compito di redigere il primo capitolo sull’origine degli antichi egizi nella celebre pubblicazione dell’Unesco sulla Storia dell’Africa.
Sul versante politico, occorre ricordare l’impegno di Cheikh Anta Diop, decisamente all’opposizione, nei confronti del governo del paladino della “negritude”, Léopold Sédar Senghor, attraverso la creazione di partiti politici (l’Fns nel 1961, il Rnd nel 1976), un giornale d’opposizione («Siggi», poi ribattezzato «Taxaw») e un sindacato degli agricoltori. Il suo confronto politico con Senghor rimane uno dei capitoli più significativi — è il caso di dirlo, da manuale — della storia contemporanea dell’Africa postcoloniale. Tra i suoi meriti va anche ricordato il fatto d’essere stato il primo africano, anzi l’unico del xx secolo, ad aver teorizzato il rinascimento africano partendo da un presupposto olistico; dunque, prendendo in considerazione le varie declinazioni dello scibile afro, quel patrimonio di saperi di cui è custode e latore l’intero continente africano. Tutto questo sull’evidenza che l’Africa è la culla dell’umanità e delle civiltà, e dunque «Nessun pensiero, nessuna ideologia è, in sostanza, estranea all’Africa, che è stata la loro terra natale. È quindi con piena libertà che gli africani devono attingere al patrimonio comune dell’umanità, lasciandosi guidare solo da nozioni di utilità ed efficienza». Divenne convinto nazionalista e al tempo stesso sostenitore del federalismo africano.
Due anni prima della sua morte, Cheikh Anta Diop scrisse una sorta di nota testamentaria rivolta a tutti quegli africani preoccupati per il futuro del loro continente esprimendosi con queste parole cariche di significato: «Dobbiamo spostare definitivamente l’Africa nera sul versante del suo destino federale […] Lo stato federale continentale, infatti, offre uno spazio politico ed economico, sicuro, sufficientemente stabilizzato affinché possa essere attuata una formula razionale per lo sviluppo economico dei nostri paesi con potenziale diverso».
Oggi la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che Cheikh Anta Diop abbia svolto un ruolo fondamentale nel dare un impulso davvero rivoluzionario allo studio delle civiltà africane smascherando i pregiudizi culturali di matrice coloniale che fino ad allora erano assurte al rango di verità scientifiche. Non a caso scrisse che «L’Egitto è per il resto dell’Africa nera ciò che la Grecia e Roma sono state per il mondo occidentale».