
di Marco Impagliazzo *
Quando si parla di anziani il pensiero va a chi, in questa sempre più larga fascia della popolazione, vive da solo. Come fosse un destino che, ad una certa età, per motivi anagrafici e, per chi è sposato, a causa della perdita del
proprio coniuge, si debba per forza
finire a vivere senza compagnia, nella propria casa o, peggio, come accade sempre più spesso, in uno dei tantissimi istituti che affollano il panorama italiano. Quasi una condanna in qualche modo “giustificata” e comunque accettata come conseguenza logica dell’invecchiamento.
Eppure, non sono solo gli anziani ad ammalarsi di solitudine. La società italiana, ogni anno che passa, si trova sempre più povera (con oltre 5.700.000 persone sotto la soglia della povertà assoluta, il 9.7 per cento della popolazione), ma anche sempre più “sola”, dato che il fenomeno attraversa in modo significativo tutte le generazioni: basta pensare che a Milano quasi il 53 per cento delle famiglie è mono-componente, a Bologna il 52% e a Roma il 45,2%, ma nel centro storico la percentuale sale al 59 per cento.
La solitudine degli anziani va quindi inquadrata all’interno di quella, ormai significativa, di tutta la società, anche se è, per tanti motivi, causa di disagio, a volte estremo, soprattutto tra gli ultrasessantacinquenni, che rappresentano oltre 14 milioni di italiani.
Occorre dare una risposta umana, economica e sociale a questo fenomeno. A livello più generale occorre ribaltare il modo di pensare alla terza o quarta età come un peso per la società. Perché è già, di fatto, una risorsa e perché può esserlo ancora di più: a 65 anni si può fare ancora molto per sé e per gli altri. Basta pensare al ruolo chiave giocato da tanti anziani nelle famiglie e nel rapporto con i nipoti. Ma, soprattutto pensando a chi sta peggio, occorre pensare ad una “rivoluzione dolce” che faccia invertire la direzione di marcia, ribaltare il pensiero che la società ha sugli anziani. In questo senso la legge 33 per l’assistenza sociosanitaria, votata in Parlamento da tutti i partiti, può fare la differenza perché affronta il vero problema dell’età avanzata, che è quello della fragilità, con il rischio di non farcela da soli e finire in istituti dove questa condizione si aggrava facendo sorgere disabilità di varia natura. È una legge che sancisce, con un’adeguata assistenza, il diritto a rimanere nella casa dove si è sempre vissuti: il governo dovrebbe con urgenza implementarla con i decreti attuativi per realizzare l’atteso passaggio alla domiciliarità delle cure e dell’assistenza.
Ma prima ancora della legge, l’esperienza di tanti anni della Comunità di Sant’Egidio può testimoniare quanto conta non essere abbandonati. Alle nostre Case dell’Amicizia, centri dove si rivolgono, nelle città italiane, tanti cittadini in difficoltà, arrivano anche molti anziani fragili per i quali l’assistenza pubblica appare lontana o comunque difficile da raggiungere, spesso anche per la scarsa alfabetizzazione digitale delle vecchie generazioni: tutti ostacoli che rendono più difficile la vita di chi non ha nessuno che lo aiuti e lo orienti.
Il rapporto stretto di Sant’Egidio con un grande numero di anziani ha portato anche alla realizzazione di un modello che si sta rivelando vincente, quello delle convivenze. Abitate anche da ex senza fissa dimora e persone con disabilità, ma soprattutto da anziani, sono solo a Roma oltre 170 e interessano circa 1.200 persone. Il modello è semplice anche se occorre l’intelligenza del cuore per attuarlo. Vivere da soli spesso si rivela difficile quando la pensione è troppo bassa per sostenere l’affitto e arrivare a fine mese con le altre spese. Se poi si è malati può diventare impossibile. La risposta consiste nel mettere insieme i soli: due, tre o quattro persone anziane che condividono le spese di una casa, magari anche quelle della badante, accompagnati dai volontari della Comunità che li conoscono e rappresentano un ponte prezioso con la città e con le altre generazioni. Un segno in più che viene offerto all’inizio di questo Giubileo della Speranza.
* Presidente della Comunità di Sant’Egidio