· Città del Vaticano ·

Responsabilità e compassione per raccontare la speranza

 Responsabilità e compassione  per raccontare  la speranza  ODS-028
01 febbraio 2025

Avevamo appena iniziato a scrivere questo editoriale per spiegare come, nell’anno del Giubileo, abbiamo pensato di “rivoluzionare” l’impostazione del giornale, quando è arrivata la notizia della morte di Marius Burca. Come Mizzi e Daniel — che ricordiamo nelle pagine interne — un altro amico dell’«Osservatore di Strada» ci ha lasciati e ha varcato la porta santa della misericordia del Signore.

Avremmo voluto scrivere del Giubileo, che Papa Francesco ha inaugurato la notte di Natale, del nostro modo di raccontarlo “dal basso” andando a cercare i “semi di speranza” che germogliano dove meno te lo aspetti, mostrando le “periferie” dove la speranza sembra perduta, riportando storie di “pellegrini della speranza” che sono ogni giorno in mezzo a noi. Ma come si fa a scrivere di speranza con un dolore così grande nel cuore? Come si fa, quando un uomo forte come un toro, ma dolce e gentile come pochi, muore in un ospedale e non se ne sa nulla per quasi un mese? Come si fa, senza pensare a tutto quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto perché la sua vita non finisse così?

Con Marius — lo vedete nella foto qui accanto — ci siamo incontrati nell’ostello della Caritas di Roma in via Marsala dove era stato accolto. Partecipava ogni mercoledì alle riunioni della redazione del giornalino degli ospiti della struttura. Era attento a tutto quello che si diceva, ma non parlava quasi mai in pubblico. Preferiva prenderti sottobraccio e guardarti negli occhi. E, ogni tanto, confidava frammenti del suo passato, vissuto in Romania tra lutti e abbandoni, e di un presente, a Roma, fatto di lavori occasionali e sfruttamento. Era un manovale, capace di smantellare un appartamento in pochi giorni... e per pochi spiccioli. Ogni tanto faceva vedere le mani gonfie e chiedeva: «È giustizia questa?».

No, Marius. Questa non è giustizia. Come non è giustizia lasciare che un uomo muoia in questo modo. Ci piace pensare e dire che intorno a questo giornale sia nata una compagnia, la compagnia dell’«Osservatore di Strada», dove ognuno condivide il tanto o il poco che ha. Ma lo siamo veramente se anche noi ci facciamo prendere da altro e ci dimentichiamo di un amico, di un fratello? Il dolore che proviamo è per lui o è per noi che non siamo stati capaci neanche di chiedere dove fosse ricoverato?

Se non ci ponessimo queste domande, la speranza — quella che ci proponiamo di raccontare nelle pagine del nostro giornale — si svuoterebbe di ogni significato. La speranza non è una parola consolatoria. La speranza che non delude è una provocazione continua. Non ci lascia tranquilli. Ci ripete in ogni momento la domanda di Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello?».

Papa Francesco, dopo aver aperto la Porta Santa della Basilica di San Pietro, ha detto che la speranza ci chiede di anticipare oggi la promessa del suo Regno attraverso la responsabilità e la compassione. E subito dopo ha aggiunto: «Ci farà bene interrogarci sulla nostra compassione: io ho compassione? So patire-con? Pensiamoci».

Anche noi abbiamo tanta strada da fare. Cercheremo di farla insieme a voi che ci leggete per imparare a vivere nella speranza e a rispondere: «Ecco, mio fratello è qui e me ne prendo cura».

La redazione
dell’«Osservatore di Strada»