
di Felicita Pistilli
e Fabrizio Salvati
Dietro di noi, in fila, c'è Niccolò: ha solo due anni e si prepara, anche lui insieme con i suoi genitori, ad attraversare la Porta Santa. Nei suoi occhi di bambino, lo stupore.
— E nei tuoi, Fabrizio, cosa c'è? Con quale spirito ti prepari a questo passaggio?
— È il primo passo di un percorso, che da qui — dalla Basilica di San Pietro — ci porterà a bussare a tante altre porte, tutte “sacrosante”, che si aprono ogni qualvolta qualcuno bussa per chiedere aiuto e tornare a una vita dignitosa.
— Anche tu, Felicita, vedi un nesso tra la Porta Santa del Giubileo, che abbiamo varcato poco fa, e le altre?
— Il legame lo vedo già nel fatto che siamo insieme, qui oggi. Due mondi che, se visti solo con gli occhi, potrebbero sembrare lontanissimi. Ma questo è un racconto di cuore e lo faremo insieme. Ogni porta significa accoglienza.
Allora partiamo dalla principale.
— La voce narrante non può che essere la tua, Fabrizio. Questa zona la conosci bene. È casa tua. E io, come un ospite, ti starò ad ascoltare.
Cosa rappresenta la Basilica per te?
— San Pietro è la chiesa delle chiese; il Vaticano è la sede papale, non a caso la prima Porta Santa ad essere aperta è stata questa. Può stupire che sia quasi una porticina, a confronto delle altre che si varcano solitamente per entrare in Basilica, ma la sua importanza va al di là dello spazio e del tempo. È la porta del Giubileo che Papa Francesco ha voluto dedicare alla speranza e che ha aperto proprio la notte di Natale, la notte in cui il mondo ha conosciuto la Speranza che non delude. Segna il passaggio che, come cristiani, siamo chiamati a compiere ogni giorno per vivere l’esperienza della misericordia di Dio e condividere il suo sogno di un mondo nuovo. E, proprio per questo, è anche il simbolo di tante altre porte, spesso nascoste, che incontriamo nella nostra quotidianità attraverso le quali possiamo dare concretezza a quel sogno, portando speranza a chi è scoraggiato, a chi non ha da mangiare e da dormire, a chi è emarginato per il suo stato sociale o la sua provenienza, a chi è solo.
La speranza passa anche attraverso una piccola fessura: anche solo una crepa può far crollare i muri dell'indifferenza. Passare la Porta Santa in due significa proprio questo: non girarsi dall'altra parte, ma guardare negli occhi l'altro.
* * *
Continuando nel nostro giro, mentre gli altri pellegrini si disperdono, il nostro Giubileo prosegue alla ricerca delle altre “porte sante” che si affacciano su piazza San Pietro. Sul lato sinistro del colonnato del Bernini, c'è Palazzo Migliori.
— Un luogo che tu, Fabrizio, conosci bene.
— È una delle strutture di accoglienza più importanti di Roma, un palazzo nobiliare, messo a disposizione da Papa Francesco per i senza dimora, gestita dalla Comunità di Sant'Egidio. Per me anche questa è una Porta Santa, perché ha segnato il luogo e il tempo della mia ripartenza grazie anche agli amici dell’«Osservatore di Strada». Tu, Felicita, da tempo ci conosci...
— Vi conosco e mi riconosco. Tutte le volte che vi ho incontrato, siete stati il mio specchio: è guardando le difficoltà degli altri che si comprendono le proprie; si esercita la solidarietà, non come collutorio della coscienza, ma come gesto prima di tutto per se stessi. Siete per me un gruppo di persone incoraggianti.
Questo nostro viaggio è anche un racconto di altruismo: quello dei tanti volontari che, ogni giorno, frequentano queste strade. Tendono le mani, regalano sorrisi e il proprio tempo. Sono tante le persone, una galassia di associazioni, che la sera passano a portare la cena: e ogni sera varcano la soglia di altre “porte sante”, le tende che disegnano il perimetro della piazza, rifugio per la notte di chi una casa non ce l'ha.
Camminando lungo via dei Penitenzieri, un altro uscio: «Dono della Misericordia», una struttura di accoglienza, gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, le stesse che si prendono cura delle ospiti della casa «Dono di Maria» in piazza del Sant’Uffizio. Tutte braccia spalancate. Lo stesso colonnato è un abbraccio: ospita il servizio bagni e docce, ma anche l'assistenza sanitaria per le persone che vivono in strada.
Sono luoghi che raccontano che, in fondo, al di là delle apparenze, c'è più bontà che cattiveria: sono luoghi di sollievo per l'anima, prima ancora che risposta ai bisogni materiali, dice chi li frequenta. Varcare queste porte è essere visti, soprattutto ascoltati.
Sono luoghi di speranza e per questo porte sante.