· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Voci di speranza e libertà

Youmna, tra il dovere
di reporter
e l’amore di madre

 Youmna, tra il dovere di reporter  e l’amore di madre  DCM-002
01 febbraio 2025

«A Gaza c’erano giorni in cui essere in vita era più difficile che in altri. Ricordo il quarto giorno di guerra come il giorno del giudizio, è stato il primo massacro commesso dall’esercito israeliano nel campo profughi di Jabaliya. Erano appena state uccise trenta persone, quando l’esercito ci ha avvisato che avrebbero bombardato nuovamente. Abbiamo cominciato a correre terrorizzati, c’era il caos. Il mio team era scomparso, ho chiamato la redazione e ho chiesto che avvisassero la mia famiglia, se fossi morta, di cercarmi lì».

Youmna El Sayed - 34 anni, dieci vissuti a Gaza, giornalista palestinese-egiziana, corrispondente di Al Jazeera English - è sopravvissuta quel giorno, così come quelli a venire, e per tre mesi non ha mai smesso di raccontare l’offensiva di Israele nella Striscia in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023 compiuto da Hamas.

«Non potevo permettermi il privilegio del dolore. Lavoravo nelle aree bombardate, facevo le dirette davanti alle fosse comuni, vedevo i bambini estratti dalle macerie, feriti, bruciati, ammazzati, e dovevo raccontarlo, non c’era tempo per piangere il lutto della mia gente. Ho costretto me stessa a lavorare, soffocando ogni emozione, se mi fossi concessa di provare qualcosa sarei crollata».

Da più di un anno solo i reporter gazawi testimoniano la guerra, perché giornalisti stranieri non possono entrare a Gaza. Ma non c’è nulla di più difficile che raccontare un dolore che ti appartiene e spesso a prezzo della vita: il Comitato per la difesa dei giornalisti con sede a New York, il 20 dicembre scorso ha fissato in 141 i colleghi morti nella Striscia.

Youmna ogni giorno lasciava i suoi figli a casa per andare sul campo: «Mi costringevo allo strazio di salutarli senza sapere se li avrei ritrovati vivi. Sentivo di avere un dovere morale e che parlando dei bambini di Gaza stavo raccontando al mondo anche la storia dei miei figli».

Sarà proprio per salvare la sua famiglia che Youmna si vedrà costretta a rinunciare al proprio mestiere di reporter di guerra. Dal gennaio 2024 è rifugiata al Cairo con il marito e i suoi quattro figli di 13, 12, 9 e 6 anni. «Un giorno l’esercito ha chiamato mio marito e intimato di andarcene perché stava per bombardare la casa. Siamo scappati verso sud camminando tra i cadaveri abbandonati. Ho pregato i miei bambini di non guardarli. Da reporter sentivo il dovere di raccontare quell’orrore, ma da madre dovevo proteggere i miei figli».

di Lidia Ginestra Giuffrida