
Rachele F. ha le guance tonde e il seno gonfio. Si accarezza il pancione mentre parla in video-chiamata dalla provincia di Bukavu, Repubblica Democratica del Congo. Con lei ci sono lo psicologo Sylvain Balibuno e Crispin Kashale, portavoce del Panzi hospital. È l’ospedale specializzato nel trattamento delle vittime di violenza sessuale, in particolare legata al conflitto, fondato nel 1999 da Denis Mukwege, il ginecologo più famoso d’Africa, premio Nobel per la pace nel 2018.
Rachele ha 17 anni; non aveva mai avuto un rapporto sessuale prima del brutto incontro con il militare dell’esercito regolare che circa otto mesi fa l’ha violentata e messa incinta, in uno dei molti posti di blocco del Nord Kivu. Racconta di sé con riluttanza, più per pudore che per paura. Oggi si sente al sicuro, dice. Ha avviato un procedimento giudiziario contro il suo aggressore tramite la fondazione Mukwege. Ed è certa di aver fatto la cosa giusta. Sua mamma la sostiene, sebbene a distanza, perché a Panzi le ragazze vivono in un luogo protetto. «Vengo da Kalungu, nel Sud Kivu, un villaggio che molto tempo fa era ricco ma poi è stato distrutto. Si trova lungo la strada tra Goma e Bukavu», inizia a raccontare Rachele. Il centro di Kalungu venne conquistato da due signori della guerra congolesi: il generale Laurent Nkunda e il colonnello Jules Mutebusi. Da allora i suoi abitanti sono sfollati interni. «Il giorno di quel fatto lì mi trovavo vicino a Bulenga, ero lontana dalla famiglia e stavo andando a telefonare a loro quando un militare mi ha fatto cenno di avvicinarmi – ricorda Rachele – Non potevo dirgli di no perché dalla divisa sembrava un pezzo grosso, uno di alto rango... E allora l’ho seguito dentro la tenda di deplacement, una specie di ufficio di controllo delle persone in transito. Sono entrata lì dentro e lui mi ha costretta… Mi ha presa con la forza e poi mi ha fatto uscire subito dopo dicendo di correre via. È successo che sono rimasta incinta. Era il primo uomo per me: non ho mai avuto nessuno, non ho mai avuto neanche un fidanzato».
Nello sguardo di Rachele c’è ancora tanta vergogna e un residuo di paura. Da Bulenga è riuscita ad arrivare a Bukavu, è stata soccorsa e poi trasferita nel luogo dove le vittime di violenza ed abusi sessuali ricevono cure, ascolto e assistenza psicologica. Al Panzi Hospital & foundation, il quartier generale di Mukwege, da più di 25 anni si curano le ferite visibili e invisibili delle superstiti. Il metodo seguito non è solo fisico, precisa subito Crispin Kashale. È un percorso olistico «perché le ferite non sono solo quelle più evidenti, ma c’è tutto un trauma successivo alla violenza. E poi, in moltissimi casi, la gravidanza. Che non tutte accettano». Le donne sono assistite anche legalmente.
Classe 1955, Mukwege, ha studiato medicina a Bujumbura, in Uganda, e in Francia. È tornato poi nel suo Paese perché questa (la guerra delle decine di milizie armate del Nord Kivu combattuta anche dal Ruanda), e tutte le altre guerre dell’immenso ex Zaire, sono una faccenda che riguarda anzitutto le donne. «Rachele soffre di disturbi post-traumatici», precisa Crispin che per tutto il tempo ascolta la ragazza parlare in Kihavu, una lingua Bantu diffusa nell’est del Congo, e la traduce in francese. «Stiamo facendo un lavoro per farle accettare la sua condizione e poi decidere che fare con la maternità».
di Ilaria De Bonis
Giornalista «Popoli e Missione»