Mariam, la lotta

«È dura vivere qui al campo. In Sudan me la cavavo bene, vivevo con mio marito, mia madre e i miei figli. Ma la guerra ci ha costretti a scappare. Durante la fuga ci siamo dispersi: alcuni della nostra famiglia sono stati uccisi e fra questi mio marito e mia mamma. Uno dei miei figli è stato preso, non so più dov’è».
Mariam ha circa vent’anni, emaciata e senza forze allatta una bambina al seno, la terzogenita Salwa, concepita durante la fuga dal Sudan e nata nel campo profughi di Malakal, nell’Upper Nile State. «Cerco di guadagnarmi qualcosa portando l’acqua da bere e l’acqua per cucinare a domicilio: dalla pompa alle tende. Per questo piccolo servizio mi pagano poche sterline (la moneta sudanese n.d.r.) ma non bastano mai».
Riso, mais, fagioli: si mangia quel che c’è a Malakal, nel Sud Sudan. La fame è tra le prime conseguenze della guerra, a volte uccide più delle armi. E le donne sono le prime a dover trovare cibo e le ultime spesso a mangiarlo.
Qualche volta arriva anche del pesce fresco al campo: lo pescano al fiume e chi può permetterselo lo compra al mercato. Per il resto il cibo è fornito dal World Food Programme che ogni due settimane lo consegna alla Caritas, che lo redistribuisce tra i rifugiati. Gli sfollati della prima ora coltivano piccoli fazzoletti di terra e rivendono le verdure fresche. «Posso dire che mi sono salvata la vita - ripete Mariam ringraziando Dio per questo- Ma non ho più la mia famiglia e non lavoro».
La guerra civile ha dilaniato il Sudan, che si trova dall’altra parte del confine, e ha prodotto la cifra record di sette milioni di sfollati interni e rifugiati. Malakal fino al 2013 era una fiorente città portuale sul Nilo Bianco; oggi è una distesa infinita di tende e baracche; pentole e fuochi, stracci e fame. Ospita 50 mila persone e la maggior parte arriva dal Sudan. Le Rapid Support Forces e l’esercito nazionale del Sudan non trovano un accordo per il cessate-il fuoco. E il Paese si è svuotato.
Guance scavate e sguardo basso, Mariam ricorda che «in Sudan cominciarono ad esserci problemi quasi due anni fa e venimmo via. Lungo la strada da Khartoum verso Renk, oltre il confine con il Sud Sudan, mi sono ritrovata separata dai miei fratelli e dai miei parenti. Incontrammo alcuni militari ribelli, quelli delle rsf, ci attaccarono e così ci disperdemmo». Mariam accarezza sua figlia, spera di poter un giorno tornare a casa, a Khartoum. A fare quello che faceva un tempo: cercare di vivere la sua vita semplice. Che prima della guerra non era ricca ma neanche così disperatamente misera. ( Ilaria De Bonis )