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Voci di speranza e libertà

Lishay e l’attesa del ritorno del marito Ormi, ostaggio
a Gaza

 Lishay e l’attesa del ritorno  del marito Ormi, ostaggio a Gaza  DCM-002
01 febbraio 2025

Quando la incontriamo a dicembre, Lishay Miran Levi, 38 anni, ha il volto tirato, al collo due ciondoli, la stella di Davide e il fiocco giallo, simbolo internazionale di solidarietà a chi è in prigionia, esposto ovunque in Israele. Sulla felpa nera l’immagine di suo marito Omri che sorride guardando la figlia Roni nelle sue braccia. Aveva due anni, quando ha visto l’ultima volta suo padre. Il 7 ottobre del 2023 nel kibbutz Nahal Oz degli uomini col fucile lo portarono via davanti ai suoi occhi, la sorellina Alma di appena sei mesi era in braccio alla mamma. Da allora, ogni mattina, Roni ha chiesto se quel giorno suo padre sarebbe tornato a casa, a volte piangendo, perché una bimba piccola può pensare che chi non torna non le voglia più bene. Per Alma invece il padre è l’uomo delle fotografie, appese ovunque in casa e per le strade. Omri Miran, 48 anni, Bring Him Home.

Lishay lo aveva conosciuto poco prima del Covid ad una festa di Purim, che ricorda la salvezza del popolo ebraico da una cospirazione per distruggerlo. Amore a prima vista. Un anno dopo si erano sposati e Roni era arrivata quasi subito. “Ti amo, non fare l’eroe” le ultime parole gridate da Lishay al marito, mentre i terroristi lo trascinavano via, nell’auto diretta nell’inferno di Gaza.

Per mesi ad ogni risveglio Lishay si è toccata il volto. Quasi incredula di essere viva e immaginando Omri in un tunnel, senza acqua, senza cibo. Per mesi non ne ha saputo nulla; poi nell’aprile del 2024 lo ha rivisto in uno dei cinici video di propaganda di Hamas. Magro e provato, supplicava il governo israeliano di non abbandonarlo. Lishay si è convinta che a resistere, a non perdere la ragione, lo abbia aiutato la sua professione di terapista shiatsu.

Per mesi, lei ogni giorno ha vinto la sua naturale timidezza e sfilato per le strade di Israele con centinaia di altri famigliari e volontari per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi. Nemmeno alla lontana il pensiero di poter vivere senza quella metà di sé, strappatale barbaramente.

Un incubo delle sue notti insonni, eppure nessuna visibile traccia al mattino al momento di riabbracciare le sue figliolette. Ogni giorno poteva essere quello giusto per il ritorno a casa di papà. Dal 7 ottobre del 2023 Lishay è tornata a vivere coi suoi genitori nel kibbutz dove è stata evacuata. Roni si è attaccata molto al nonno, un uomo che da quando papà non era stato portato via non recitava il kiddush alla sera di Shabbat. Era arrabbiato con Dio. È stata Roni a chiedergli di tornare a pregare con lei. Lishay non è religiosa, ma quando non conosci il destino dell’uomo che ami, si spera nei miracoli.

di Alessandra Buzzetti
Giornalista, corrispondente tv2000 da Gerusalemme