· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

La storia della martire dipinta da Caravaggio e i femminicidi

La libertà di Lucia

 La libertà di Lucia  DCM-002
01 febbraio 2025

Il sole splende alto nell’azzurro cielo siciliano. Siracusa – bianca nei suoi palazzi e nelle sue piazze – accoglie chi vi giunge in pienezza di luce. Forse è proprio per questo che l’incontro con la Lucia dipinta dal Caravaggio spiazza: tanta, troppa luce fuori, tanto scuro terroso e accorato nella tela che ne raffigura il seppellimento.

Nel quadro – posto nel Santuario di Santa Lucia al Sepolcro – non ci sono tagli netti di luce che staccano le figure dall’ombra, piuttosto una piccola folla che attende la consegna alla terra della ragazza uccisa, due necrofori, un vescovo dalla stola rossa, un enorme spazio vuoto, color di ruggine, che sovrasta la scena. Siamo in un ventre di terra pronto ad accogliere i resti di una donna che ruppe, in nome di un amore altro, il patto con lo sposo promesso (scelto dalla madre), il quale si vendicò mandandola a morire: non uccidendola di propria mano come fanno gli uomini di oggi, così lesti nel femminicizzare le compagne che si appropriano della libertà di amare chi vogliono. No, essendo l’imperatore Diocleziano (siamo nel 304 d.C.) determinato allo sterminio dei cristiani, bastò riferire alle Autorità che Lucia aveva distribuito ai poveri i suoi beni e deciso di donare a Cristo la sua verginità per scatenare contro di lei la ferocia del sistema.

Vuoi restare vergine? Un passaggio al bordello saprà condurti a diverso consiglio – è la prima condanna che le viene inflitta. Ma il suo corpo diventa irremovibile. Vengono addirittura aggiogate otto coppie di buoi per spostarlo. Inutilmente. Lucia resta ferma nella fedeltà all’Amato. Sovversiva dunque, troppo pericolosa, il regime, infatti, ha bisogno di pecore, non di teste pensanti, meno che mai femminili. Perciò sarà decapitata, monito per chi vorrà fare di testa sua.

Proprio di questi giorni, il 5 febbraio del 301, Lucia andava a Catania con la madre che soffriva di emorragie per toccare la tomba di sant’Agata, come l’emorroissa aveva fatto con la veste di Cristo, e ottenere la grazia. Noi, invece, siamo a Siracusa, di fronte a lei, sporchi della terra che sporca la luce, le cose, persino l’aria. Solo il rosso della stola squilla tremendo. In un tempo di femminicidi quotidiani, richiama il sangue delle donne uccise in nome della libertà rivendicata da Lucia fino alla fine, e la pena, il senso di impotenza verso un massacro che sembra inarrestabile.

di Tea Ranno
Scrittrice, il suo ultimo libro è «Avevo un fuoco dentro. Storia di un dolore che non si può dire», Mondadori