· Città del Vaticano ·

Echi positivi per il contributo della Bav alla Biennale in Arabia Saudit

Passato e presente
dell’arte islamica

 Passato e presente  dell’arte islamica   QUO-024
30 gennaio 2025

di Fabio Colagrande

C’è un’estetica della fede e della spiritualità che può stabilire un ponte tra passato e presente e mettere in contatto persone di diverse regioni del mondo. Questa capacità dell’arte ispirata dalla religione è raccontata nella seconda Biennale delle Arti Islamiche, inaugurata il 25 gennaio a Jeddha, in Arabia Saudita, e in corso fino al 25 maggio, sotto le strutture tensili del Western Hajj Terminal dell’aeroporto King Abdulaziz, capolavoro architettonico costruito per accogliere l’afflusso di pellegrini verso la Mecca.

Cinque padiglioni, giardini esterni, cinquecento pezzi, più di trenta istituzioni internazionali di venti paesi e venti artisti contemporanei per centodiecimila metri quadrati di esposizione. I numeri di questa Biennale, organizzata dalla Diriyah Biennale Foundation, dopo il successo di quella del 2023, dicono di un evento grandioso che ha voluto intrecciare antico e contemporaneo, la storia e il presente della cultura islamica, in un momento di trasformazione economica, sociale e culturale per la penisola arabica. A fare da filo conduttore, un versetto ricorrente nel Corano — and all that is in between — che esprime la vastità e la multiformità della creazione.

Così, nel padiglione AlMukarramah, dedicato alla città natale del profeto Maometto, troviamo l’installazione del 2009 Magnetism dell’artista saudita Ahmed Mater, una delle voci che meglio raccontano l’Arabia Saudita contemporanea. Un cubo nero magnetico — tanto piccolo quanto è monumentale la Kaaba nella Moschea della Mecca — che è stato fatto ruotare, mettendo in movimento migliaia di particelle di ferro e creando un vortice che riecheggia il movimento dei pellegrini durante l’Hajj, l’annuale pellegrinaggio verso la città santa. «Attraverso il Magnetismo — spiega l’autore — suggerisco che l’universo opera su un equilibrio di forze opposte, attrazione e repulsione».

Nella stessa sezione, troviamo l’opera dell’unico artista italiano invitato alla Biennale, il vicentino Arcangelo Sassolino, che utilizza materiali industriali per rivelare contrasti e forze opposte. Nella sua installazione Memory of becoming un grande disco rivestito con olio industriale ruota lentamente e perpetuamente ed è il movimento continuo a mantenere il materiale viscoso sulla superficie. L’opera incarna la lotta contro il decadimento, ma è anche un monumento all’impermanenza alla base della creazione.

Tra i padiglioni della Biennale dedicati alla due città sante Mecca e Medina — che contengono oggetti sacri mai usciti da quei luoghi, come la sacra Kiswah, — troviamo l’installazione Zubaydah Trail (“Tra le città sacre”) dell’artista pachistano Imran Qureshi, abituato a sintetizzare motivi tradizionali con riflessioni socio-politiche sull’attualità. Realizzata in nylon intrecciato a mano, l’opera ottagonale si estende per 450 metri quadrati,  invitando i visitatori a raccogliersi, riposare e contemplare, simulando lo spazio di un’oasi. La tecnica di tessitura riattiva i mestieri artigianali, quasi a volerli salvaguardare dalla scomparsa per l’avvento delle tecnologie contemporanee.

Ma le installazioni contemporanee sono solo un volto di una Biennale che racconta soprattutto la storia culturale e artistica della civiltà islamica attraverso artefatti, manoscritti, oggetti, mappe, gioielli e armi provenienti dall’Asia, dall’Africa e da musei e collezioni internazionali. Tra questi, spicca il contributo della Biblioteca Apostolica Vaticana, presente a Jeddah — nella sezione AlMadar — con undici pezzi storici tra i quali una mappa del Nilo del xvii secolo, lunga sei metri, restaurata per l’occasione dalla Vaticana con fondi sauditi, uscita per la prima volta dalle Mura Leonine.

Julian Raby, uno dei direttori artistici dell’evento, intervistato dai media vaticani, ha commentato positivamente la collaborazione tra la Biennale saudita e la Biblioteca del Papa. «Naturalmente c’è un enorme simbolismo in questo, ma anche un grande livello accademico. Pensiamo al fatto che qui, grazie a loro, abbiamo in esposizione una traduzione in lingua greca del Corano, creata entro un secolo dalla sua stesura, e una traduzione ebraica del Corano e una delle prime traduzioni occidentali. Voglio dire, solo il Vaticano poteva fare questo!». 

«Devo dire che fin dal nostro primo incontro con la Biblioteca Apostolica Vaticana, che credo sia stata nel settembre-ottobre 2023, è stato solo un piacere, ogni passo è stato di rispetto, di tolleranza, di comprensione, di intelligenza» aggiunge un altro dei direttori artistici della Biennale, Abdul Rahman Azzam. «Speriamo davvero che la Biennale d’Arte Islamica del 2025, sia il primo di molti passi di collaborazione tra la Biblioteca Apostolica Vaticana e questa istituzione».

A sottolineare un ulteriore significato di questa cooperazione tra Santa Sede e Arabia Saudita, due realtà che attualmente non intrattengono rapporti diplomatici, è l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, presente nei giorni scorsi a Jeddah per l’inaugurazione della Biennale. «La nostra partecipazione qui è stata benedetta anche dalla Segreteria di Stato perché è un po’ come un’apripista della diplomazia della cultura. Il campo della cultura è un campo che si apre a tutti i dialoghi e a tutte le dimensioni, ed è questo che abbiamo vissuto in Arabia Saudita».