La buona Notizia

di Jonathan Safran Foer
Questo passo del Vangelo presenta un uomo, Simeone, la cui vita è stata definita dall’attesa della venuta di Gesù. Oggigiorno tendiamo a vedere l’attesa come un problema da risolvere. Le stagioni sono troppo lente per noi, il raccolto viene inviato in tutto il mondo per soddisfare i nostri appetiti. Andare nei negozi è troppo lento, quindi ordiniamo su Amazon; inviare lettere scritte a mano per posta è troppo lento, quindi inviamo e-mail o messaggi di testo; incontrarsi di persona è troppo lento, quindi usiamo Zoom. (Praticamente tutti i nostri porgessi tecnologici sono orientati a rendere le cose più veloci, più facili, meno frizionali). Spesso siamo multitasking, come se il tempo stesso fosse un intralcio, bisognoso di moltiplicazione.
Attendere non è essenzialmente male e nemmeno essenzialmente bene. Ci sono molte ragioni per essere grati della comodità offerta dalla tecnologia. Ed è ancora più chiaro che non dovremmo aspettare che la malattia curi se stessa, che l’arco della giustizia si pieghi o che la sofferenza faccia il suo corso. Il progresso esige impazienza. E tuttavia, le qualità che definiscono l’attesa — tolleranza, perseveranza durante i cambiamenti, fede — sono le stesse che definiscono l’amore. Come l’amore, l’attesa richiede di essere appresa e praticata. E ciò che perdiamo della nostra capacità di attendere, lo perdiamo anche della nostra capacità di amare.
Come genitore, spesso mi ritrovo a lottare con l’attesa. È una tentazione augurarsi che alcuni periodi — giornate estenuanti, notti insonni, i primi dentini, abituare all’uso del vasino… — passino più rapidamente. Ed è una tentazione comprendere il mio ruolo nella vita dei miei figli come guida verso il futuro — insegnante della prossima lezione, curatore della prossima esperienza. Ma se una porzione della propria mente è nel futuro, lo è anche una porzione del proprio amore.
Lotto con l’attesa come scrittore (che cerca molto spesso la fine del progetto piuttosto che il processo di creazione), come marito (che vuole la soluzione per i fastidi invece che le nuove intuizioni trovate vivendoli) e come uomo nel mezzo della propria vita (che desidera ardentemente la rassicurazione piuttosto che la ricerca del significato).
Quando Simeone alla fine incontra Gesù dice a Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace». Forse è questo l’elemento più straordinario del Vangelo: non l’attesa di Simeone, bensì il suo riconoscerne la fine.
Quando premiamo perché il momento presente vada avanti, qual è la pace che stiamo aspettando? Riusciremmo a riconoscere il suo arrivo?