Giorno della Memoria 2025 — Ottant’anni fa Auschwitz veniva liberata
Ricordare, ovvero

di Saba Kidane
«Quest’anno senz’altro ci concentreremo completamente sui sopravvissuti che saranno con noi, cinquanta o forse sessanta persone». Piotr Cywiński, direttore dal 2006 del Museo e del Memoriale del lager tedesco di Auschwitz-Birkenau, sta parlando degli eventi organizzati in occasione dell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo. «Saranno loro — continua Cywiński — gli ospiti principali le persone più importanti, diciamo. Saranno loro a pronunciare i discorsi fondamentali. Non ci sarà alcun discorso politico. Naturalmente ci saranno alcune preghiere comuni. E renderemo omaggio alle vittime con delle candele».
Alla luce della situazione attuale nel mondo, nella dimensione globale, qual è l’importanza di ricordare?
Il ricordo è forse uno dei pochi aiuti di cui disponiamo per comprendere la nostra situazione oggi, per comprendere i nostri compiti, le nostre responsabilità, i nostri bisogni. Forse il ricordo è qualcosa che, secondo me, si avvicina molto all’esperienza dell’essere adulti, diciamo, oggi, maturi.
I sopravvissuti stanno invecchiando e prima o poi non saranno più tra noi. Come possiamo evitare che per i bambini nati oggi questo diventi — diciamo tra cinquant’anni — solo un’altra storia nella storia?
Penso che dobbiamo comprendere pienamente qual è stato il nostro impegno comune dopo la guerra al fine di evitare simili tragedie almeno in Europa: la creazione dell’Unione Europea, di tutto lo spirito di comunità in Europa, della cooperazione tra Paesi, tra Nazioni, anche tra Chiese; tutti gli sforzi ecumenici sono stati, diciamo, una sorta di risposta per dimostrare che la coesistenza tra gruppi differenti, una coesistenza specifica, o meglio ancora una cooperazione tra questi gruppi sono una via certamente più morale, più feconda per tutti.
La mostra itinerante «Auschwitz: Not Long Ago, Not Far Away» attualmente si trova a Toronto. È rivolta alle persone che non possono recarsi ad Auschwitz? O è qualcosa di diverso?
Naturalmente nulla sarà mai come una visita al luogo autentico. È vero. Ma dobbiamo raggiungere anche chi, per diverse ragioni, non può venire — motivi economici, finanziari — o chi per cause varie non può mettersi in viaggio. Ritengo che anche questo pubblico debba potere accedere a questa parte della storia. Ed era questo l’obiettivo della mostra. Ma stiamo cercando di raggiungere, in modi diversi, anche le persone che non possono recarsi in Polonia. Per esempio, lo scorso gennaio abbiamo fornito a chi lo desiderava — scuole, o famiglie o associazioni — la possibilità di una guida online. Ma una guida normale che cammina nei luoghi, che mostra tutto attraverso internet, che può rispondere a domande, che può entrare in conversazione con chi ha domande o osservazioni da fare. Quindi sì, siamo pienamente consapevoli che non tutti possono affrontare il viaggio fino a qui. Pertanto cerchiamo di andare con il nostro messaggio, con un messaggio di questo luogo, ovunque sia possibile.
I Paesi Bassi di recente hanno deciso di pubblicare i nomi di decine di migliaia di presunti collaboratori nazisti. Lei ritiene che questo sia utile a ricordare?
Penso che il ricordo non sia una cosa che riguarda solo la questione delle vittime, perché le vittime non sono il problema antropologico principale. Erano innocenti. Sono state trasportate ad Auschwitz e sono state uccise. Il principale problema antropologico sono invece i responsabili. È su questi temi che dobbiamo lavorare per poter rispondere, per trovare delle risposte. Com’è stato possibile? Qual è stato l’impatto della propaganda? Qual è stato l’impatto dell’autorità statale tedesca in tale questione? Dopo avere raggiunto la sua posizione, ad Adolf Hitler sono bastati solo sei anni per dare inizio a una seconda guerra mondiale, e all’epoca non disponeva di social media o di internet. Ritengo quindi che sia molto importante analizzare la questione dei responsabili o dei loro collaboratori. Il problema, naturalmente, è che i sopravvissuti hanno messo per iscritto i propri ricordi, le proprie memorie, mentre le SS non lo hanno fatto. Quindi siamo un po’ a corto di fonti. Ma di certo è qualcosa che non possiamo non tentare di fare.
Quindi secondo lei è corretto pubblicare quei nomi?
Diciamo che non conosco nei dettagli la metodologia, quindi non voglio esprimere la mia opinione su questo caso specifico perché non conosco i particolari. Ma ritengo che non ci sia nessun motivo per non mostrare la responsabilità personale in quei crimini.