
Sabato il Papa ha donato alle migliaia di giornalisti e comunicatori presenti in Aula Paolo vi un discorso brevissimo quanto denso di significato. «Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza! [...] Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. “Padre, io sempre dico le cose vere…” – “Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?”. È una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento». Sei, sette righe ma è difficile scegliere quale sviluppare dei tanti spunti qui contenuti.
Una prima osservazione apparentemente (ma non solo) formale: il cuore del discorso del Papa è una domanda, “Ma tu, sei vero?”, in ossequio allo stile di Bergoglio che si concentra spesso sulla forma interrogativa. Francesco pone domande: le pone a se stesso innanzitutto, le pone all’uditore al quale propone di farsi domande. E qui il tema è enorme, cruciale: la verità. Per essere buoni comunicatori la conditio sine qua non è essere innanzitutto veri. Che non vuol dire solo sinceri, evitare di dire cose false, perché il livello a cui vuole portarci il Papa è molto più in alto, è molto più “dentro”, «nel tuo interiore, nella tua vita». Non si tratta quindi di non diffondere fake news, questo è solo l’effetto, il fenomeno “a valle”, il Papa invece ci conduce “a monte”, alla fonte del problema. Siamo uomini veri? In questo momento storico la confusione, fuori e dentro di noi, è così potente che la nozione stessa di verità si è come sbiadita, ha perso consistenza e il nostro io interiore è in crisi, come frantumato.
In quel film splendidamente pasticciato che è Excalibur di John Boorman, Lancillotto dice a Re Artù «non siamo più noi stessi» e il re conferma che «non è facile esserlo» e allora chiede al saggio mago Merlino: «Qual è la più grande qualità di un cavaliere? Coraggio, compassione, fedeltà, umiltà?» Pronta e secca la risposta: «Verità! Deve esserci verità sopra tutto. Quando un uomo mente assassina una parte del mondo». Anche il cristiano è, a suo modo, un cavaliere. Chiamato ad una missione, che deve svolgere con passione e lealtà nei confronti della vita. Questa è la «prova tanto grande» a cui fa riferimento il Papa che ci ricorda la dimensione divina della comunicazione. Comunicare per un cristiano vuol dire infatti entrare nel circolo della comunicazione divina che esiste eternamente tra le persone della Santissima Trinità. Anche quando quotidianamente diamo una piccola notizia di cronaca stiamo partecipando e collaborando all’opera creativa, continua e infaticabile, del Dio trinitario. Un comunicatore cattolico, attirato e sospinto dalla fede in Gesù, non dovrebbe dimenticare questa dimensione epica di quell’avventura che è la propria esistenza, da vivere come una chiamata a cui liberamente può o non può rispondere. Verità quindi non è solo aderenza alla realtà dei fatti ma molto di più, si tratta di radicale fedeltà, come intuisce un’altra struggente poesia firmata da Emily Dickinson: «Non conosciamo mai la nostra altezza / finché non siamo chiamati ad alzarci./ E se siamo fedeli al nostro compito / arriva al cielo la nostra statura». (andrea monda)