· Città del Vaticano ·

La preghiera dell’uomo

 La preghiera dell’uomo  QUO-021
27 gennaio 2025

di Abraham Skorka

La risoluzione 60/7, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 1° novembre 2005, ha istituito il 27 gennaio come Giornata Mondiale di Commemorazione in Memoria delle Vittime della Shoah. Quella data è stata scelta per ricordare la liberazione di Auschwitz nel 1945 e incoraggiare l’umanità a riflettere sulle atrocità del passato. La scelta è caduta su Auschwitz perché era il campo di concentramento e di morte più grande realizzato dai nazisti. Vi sono state assassinate 1.100.000 persone, soprattutto ebrei, e i loro corpi cremati. Riflettere su questi terribili eventi serve sia a ricordare il passato sia a mettere in guardia per il futuro.

Viste le dimensioni e la brutalità, il genocidio perpetrato dai nazisti nei confronti del popolo ebraico è considerato come massimo paradigma del male. Rappresenta il tentativo più vasto e raccapricciante della storia documentata di annientare un popolo. I nazisti hanno distrutto i cimiteri degli ebrei per cancellare la loro storia, massacrato gli adulti per eliminare il loro presente e spezzato la vita dei bambini per annullare qualsiasi possibilità di un futuro. Quel genocidio è stato la prima volta in cui fabbriche industrializzate venivano costruite per l’unico fine di produrre morte umana.

Nel 2010 mi incontravo diverse volte al mese con l’allora arcivescovo di Buenos Aires, poi diventato Papa Francesco, per scrivere un libro di dialoghi sulle questioni che più ci preoccupavano. Quando arrivammo a parlare della Shoah, Bergoglio disse: «La Shoah è un genocidio, come gli altri del ventesimo secolo, ma ha un tratto distintivo. Non voglio dire che questo sia di primaria importanza mentre gli altri sono secondari, ma c’è una caratteristica distintiva, una costruzione idolatra contro il popolo ebraico. La razza pura, gli esseri superiori, sono idoli delle fondamenta sulle quali è stato costruito il nazismo. Non si tratta solo di un problema geopolitico; c’è anche una questione culturale-religiosa. Ogni ebreo che hanno ucciso è stato uno schiaffo in faccia al Dio vivente nel nome di idoli» (cfr. Il cielo e la terra , 2013)

Nei decenni successivi alla Shoah, essa è stata banalizzata molte, molte volte, sia da tiranni sia da leader senza scrupoli, tra cui persone di fedi differenti. Alcuni hanno messo in dubbio il numero, sei milioni, come se cinque o uno non sarebbero comunque stati una terribile tragedia. Altri hanno cercato di trasformare le vittime in colpevoli attraverso narrazioni che distorcevano i fatti per confondere e oscurare. Altri ancora hanno simpatizzato con il nazismo e la sua ideologia di morte.

Per sondare gli abissi della depravazione della Shoah occorre ascoltare le testimonianze e le riflessioni di quanti hanno vissuto quell’inferno, specialmente i poeti. Yitzhak Katzenelson (n. 1886, vicino a Minsk – m. 1944, Auschwitz) era un famoso poeta che componeva in yiddish e in ebraico. Nel suo Canto del popolo ebraico massacrato scrisse: «Loro, i bambini ebrei, sono stati i primi a perire, tutti, / Quasi tutti senza padre o madre, divorati da freddo, fame e parassiti, / Messia santi, santificati dal dolore…. Perché questa punizione? / Perché sono stati loro i primi a pagare un prezzo così alto al male nei giorni del massacro?» (2-4 novembre 1943).

Katzenelson e molti altri sono la voce di coloro che c’erano, videro e vissero l’orrore, e che persero le loro famiglie e la propria vita nelle camere a gas di Treblinka e di Auschwitz.

Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione dei campi e della fine della seconda guerra mondiale. Quanti erano sopravvissuti furono liberati fisicamente, ma le loro menti rimasero prigioniere delle atrocità vissute. Negli otto decenni trascorsi da allora, i loro racconti hanno dato testimonianza delle grida silenziose di quanti furono assassinati. Non è ancora chiaro se l’umanità li ascolterà.

Il nazismo ha resuscitato divinità passate, create dall’uomo, che esigono un culto attraverso il sacrificio umano: il sacrificio di milioni di persone. È una delle ragioni per cui quel abominio è conosciuto come olocausto, un termine che si riferisce al sacrificio offerto in tempi biblici, nel quale un animale dedicato a Dio veniva interamente bruciato. Questa parola è diventata purtroppo il termine principale utilizzato per indicare il genocidio nazista, poiché l’idea che Dio si compiaccia di simili sacrifici è disgustosamente ripugnante. Sebbene la Bibbia contenga istruzioni per l’antico sacrificio rituale di animali, aborrisce e vieta esplicitamente il sacrificio di esseri umani (Geremia 7, 31; 32, 35). Il Dio della Bibbia è un Dio vivente (Deuteronomio 5, 22; Geremia 10, 10) che desidera che l’umanità sostenga i principi divini della giustizia e della misericordia (Deuteronomio 30, 20).

Negli ultimi ottant’anni gran parte dell’umanità ha reso omaggio a vari idoli, diversi da quelli creati dai nazisti, ma che non sono altro che deboli proiezioni del desiderio di potere, ricchezza, autocelebrazione e altre ambizioni che non promuovono la vita. Sono “divinità” inanimate alle quali vengono rivolte preghiere di avidità e ambizione.

Tuttavia, nel corso di questi ottant’anni sono stati sussurrati altri tipi di preghiera. Malgrado tutti gli sconvolgimenti hanno permesso alla fiamma della speranza di continuare ad ardere, portando luce per confortare i nostri cuori.

Chanah Szenez, o Hannah Senesh, (1921-1944) era una poetessa che scriveva in lingua ebraica. Nel 1939, dinanzi allo tsunami di antisemitismo che si stava formando nella sua nativa Ungheria, scelse di trasferirsi nella Palestina mandataria. Divenne membro del Kibbutz Sdot Yam e si arruolò come paracadutista volontaria per assistere le forze britanniche e la resistenza ebraica nell’Europa occupata. Dopo essere stata arrestata dalle forze ungheresi, fu sottoposta a tortura fino alla morte. Una delle sue poesie più famose, Camminando verso Cesarea, scritta il 24 novembre 1942, può gettare una luce potente e orante sulle nostre riflessioni in questo giorno: «Mio Dio, mio Dio, / che non debbano mai finire, / la sabbia e il mare, / il fruscio delle acque, / il fulgore del cielo, / la preghiera dell’uomo».